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Non ne vale la pena.

Quella frase era rimasta impressa nella sua mente e non riusciva a dimenticarsela. Perché Mike parlava così? Era stato sempre un diligente psichiatra, e anche lui avrebbe fatto di tutto per aiutare un paziente particolarmente problematico. Magari provava talmente tanto affetto per Silvia che, vedendola affaticata, le aveva consigliato di lasciar stare, ma se la conosceva veramente avrebbe già dovuto sapere che la dottoressa aveva uno spiccato senso dell'altruismo. Avrebbe prima pensato al proprio lavoro, poi a se stessa.

Appoggió la mano sulla maniglia fredda e poi aprí la porta ricordando ancora quella frase.

Non ne vale la pena.

La paziente era di spalle, con la testa china: stava guardando qualcosa.

«Ciao Laura, sono io» disse chiudendo la porta con il sorriso in volto.
Si avvicinò pian piano alla paziente e poi si sedette accanto a lei, ma vide qualcosa che la inquietò: Laura stava accarezzando una mosca morta come se nulla fosse, come se si trattasse del suo peluche preferito.
Mentre lo faceva sorrideva.
«Che cosa stai facendo?» chiese la dottoressa cercando di farsi vedere serena.
Laura si voltò verso Silvia sorridendo.
«Sono belle le cose che fanno schifo» affermò Laura convinta delle proprie parole.
La dottoressa sorrise, ma non seppe cosa rispondere.
«Come sono belle le cose che fanno schifo» ripeté la paziente guardando amorevolmente la mosca.

Poi prese l'insetto con le mani e lo mostrò alla dottoressa; quest'ultima osservò la poltiglia nera attaccata alle dita di Laura con disgusto. Dovette trattenere un conato di vomito; gli insetti in generale non le avevano mai causato una reazione simile, ma non riusciva a non provare disgusto nel vederli morti. La ciliegina sulla torta era stato il comportamento della paziente; accarezzava la mosca come se fosse un oggetto da collezione.
«La vuoi?» chiese la paziente.
Sembrava una bambina che chiedeva ai genitori di mangiare il cibo immaginario che aveva preparato con le pentole delle bambole. La dottoressa doveva essere come una dei genitori; doveva soltanto accontentare Laura. La differenza era che non si trattava di provare del cibo immaginario. Si trattava di prendere in mano un insetto schiacciato.

«So che ti piace» affermò la paziente. «Potrebbe servirti per la tua collezione.»
Silvia fece una smorfia. Nemmeno per scherzo avrebbe mai fatto una collezione di insetti. Mai.
«Quale collezione?» chiese la dottoressa.
«Alla fine sono piaciuti anche a me...» disse la paziente senza rispondere alla domanda della dottoressa.

Che cosa intendeva con "alla fine sono piaciuti anche a me"?

La dottoressa esitò un po'.
Non sapeva se domandare altro.
Non sapeva se insistere o no.

Sentí bussare alla porta e si voltò verso di essa. Laura invece continuò a toccare la mosca.
«Avanti» disse Silvia.
Nel frattempo ipotizzò che dietro alla porta ci fosse Mike. Non era così per sua sfortuna.
«Buongiorno Silvia Wond. » la salutò l'ispettore.
«Buongiorno» rispose Silvia diffidente
«Mi ha informato il suo amico...»
«Il mio collega» lo corresse la dottoressa.
«Per quanto ne so si é licenziato da qualche anno. Mi sbaglio?» chiese chiudendo la porta e appoggiando la valigia a terra.
«Non si sbaglia, ma é come se fosse ancora un mio collega» puntalizzò.
«Bene» disse lui tentando di non ritornare a litigare. Così si sedette su una sedia subito dopo averla posizionata di fronte alla dottoressa e alla paziente.
«Laura?» domandò per essere sicuro del nome della paziente.
«Si, si chiama Laura. Ma può farle anche a me le domande che sono rivolte alla mia paziente. »
«Mi scusi un attimo. » disse lui mettendosi un paio di occhiali senza montatura. «Di cosa soffre la sua paziente?»
«Non si parla della patologia di un paziente di fronte a quest'ultimo. E poi lei non é mica uno psichiatra? Oppure ha studiato psichiatria e ha questa dote nascosta?» chiese portandolo in giro.
«Mi ascolti. Volevo soltanto dirle che si capisce quando un pazzo dice delle bugie. »
«Mi ascolti lei. Se deve parlare così di fronte alla mia paziente io...»
«Okay, okay» disse lui mettendo le mani avanti come per rimangiarsi le parole.
«Mi lasci farle delle domande, la prego. »

Si guardarono per un attimo e Silvia indugiò. Poi assentì.

L'ispettore fece un mezzo sorriso e poi si voltò verso la paziente.
«Ciao Laura» la salutò dolcemente. Forse quel comportamento fastidioso era rivolto solo alla dottoressa. Forse soltanto per una questione di antipatia.
Laura però rimaneva di spalle. Silvia allora le toccò la spalla.
«Laura, l'ispettore ti sta parlando. Voltati per favore. »
Laura allora si voltò verso Silvia, e poi verso l'ispettore. Lei lo guardava con disprezzo. In realtà guardava tutti in quel modo, esclusa Silvia. Lui notò la mosca sulle sue dita e fece una smorfia. Distolse lo sguardo dall'insetto facendo finta di nulla e poi riprese con le domande.
«Ciao Laura. Ti farò solo qualche domanda.  Ricordi Rose?»

Laura annuí.

«Ricordi quando Rose è morta?»
Laura annuí di nuovo.
«Come é successo?»
Laura non rispose, ma continuava a fissarlo come se volesse leggerlo nel pensiero.
«Come é successo?» chiese allora Silvia.
«É scivolata. Con il carrello» disse la paziente.
«Prima però cosa é accaduto?» domandò lui.
«Prima cosa é accaduto?» domandò Silvia.
«Ha aperto la porta ed é scivolata con il carrello. »

L'ispettore alzò un sopracciglio e appuntò qualcosa su un fogliettino.

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