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La casa era esattamente come la ricordava; spenta, cupa, estremamente vuota e priva di vita. Con insipidi colori, i mobili si presentavano vecchi e consumati, mentre i muri color marrone impedivano alla fioca luce del salotto di illuminare la stanza. In quel momento però non aveva alcuna importanza, perché il fatto di essere arrivata in quella casa, a Wiklyn, sana e salva, era già una consolazione. Non si era ancora ripresa del tutto, ed era già partita con l'auto per raggiungere la casa di Mark Jemmin. Quest'ultimo aveva chiesto espressamente alla dottoressa, di ascoltare ciò che aveva da dirgli a casa sua. Dunque, la dottoressa- sopresa di fronte a tanta disponibilità che, in Mark Jemmin, non aveva mai notato, nemmeno in minima presenza- era subito uscita. Infatti si accorse che indossava ancora i pantaloni del pigiama solo quando si sedette sul disgustoso divano del salotto. Provò subito vergogna, ma un uomo come quello non si sarebbe mai accorto di tale abbigliamento.

«Non mi piace parlare dell'argomento, ma vista l'insistenza non posso fare altro» affermò Mark con uno sguardo alquanto serio.
Silvia era leggermente intimorita. Quell'uomo aveva il solito sguardo, dietro al quale si celava rabbia, solitudine e disprezzo nei confronti della vita. Ogni parola doveva essere pesata e analizzata in sua presenza.
«Mi scuso ancora. Ma lei sa perché mi sono spinta fino a questo punto» disse la dottoressa, con rammarico.
«Lei non capisce, lei non sa cosa vuol dire perdere una figlia» affermò l'uomo, ora con dispiacere, rabbia, tristezza.
«Quel giorno di ottobre non doveva accadere ciò che é accaduto. Jessie era una brava ragazza, non meritava di subire tale violenza da parte di sua sorella» disse ancora.

Cosí Silvia abbassò lo sguardo. Era doloroso ascoltare quelle parole tristi, dalle tinte smorzate.
«Lei é mai stata madre?» domandò l'uomo.
La dottoressa scosse la testa.
«Bé, io, come padre, volevo bene alle mie due figlie, anche se loro non lo vedevano. Sono sempre stato severo, ma perché volevo esclusivamente il loro bene. »

Ci fu un attimo di silenzio, poi Mark fece un respiro profondo.
«Quel pomeriggio Jessie sarebbe dovuta uscire con degli amici, mentre Laura si sarebbe dovuta occupare delle faccende domestiche» iniziò a raccontare, mentre il suo sguardo si perdeva al di là del breve corridoio.
«Perché tale disparità di compiti?» domandò Silvia inarcando le sopracciglia.
«Perché Jessie si era guadagnata un bel voto a scuola, mente Laura no, non svolgeva mai i suoi compiti» rispose subito l'uomo.

Quindi la dottoressa annuí lentamente, cercando- mano a mano che Mark continuava a raccontare- di immaginare la scena.
«Vede» continuò Mark «Laura non sopportava che sua sorella fosse la migliore, non riusciva ad accettarlo. L'odio nei confronti di Jessie era talmente forte che, dopo anni e anni,  il mostro che era in Laura si era svegliato dal suo sonno.»
«Non parli in questo modo. Laura...» disse la dottoressa tentando di difendere la sua paziente.
«Laura cosa?!» esclamò Mark alzando leggermente la voce e sgranando gli occhi. Silvia si accorse dello strano sguardo dell'uomo; forse era il suo modo di reagire a tali vicende, cosí dolorose da arrossargli gli occhi.

Ebbene si, i suoi occhi erano rossi, rossi come il fuoco, e, se Silvia non avesse saputo con chi stava parlando, si sarebbe azzardata a dire che la causa sarebbe potuta essere il mancato sonno.
«Volevo soltanto... Bé, non ha importanza» affermò Silvia annuendo e cercando di mostrarsi sicura a tutti i costi. Cosí l'uomo sospirò e lanciò un occhiata alla dottoressa.
«Quando Jessie stava per uscire ho intravisto dalla finestra un mio vecchio amico, che abita di fronte casa mia» continuò Mark. «Cosí, dato che avevamo litigato, sono uscito di casa per parlare con lui e risolvere le questioni in sospeso. Il destino volle che proprio in quel momento mia figlia Jessie venisse uccisa dalla propria sorella...» affermò infine, con la testa china, con voce poú rauca del solito.

«Ma non é tutto» disse poi scuotendo il capo «perché in quello stesso momento Nicole, la figlia del mio amico, che stava camminando lungo la strada, venne investita da un camion, tutto davanti ai nostri occhi. »
«É terribile» mormorò la dottoressa sinceramente dispiaciuta, anche se già parzialmente a conoscenza del fatto.
«Due vite cosí giovani, spezzate in un secondo» aggiunse poi la donna.
Per un attimo i due non parlarono e Silvia ebbe il tempo necessario per capire che l'amico di Mark Jemmin, quello con cui aveva litigato, in realtà era John. Tutto si collegava perfettamente.

«La ringrazio signore, ma volevo sapere solo un ultima cosa, poi la lascerò in pace...» disse Silvia dopo quel momento di silenzio.
«D'accordo» rispose a bassa voce Mark Jemmin, mentre si strofinava gli occhi.
«Mi sa dire con sicurezza se Jessie e Nicole avessero dei lati fisici e caratteriali in comune?»
«Perché lo chiede? Cosa diamine c'entra ora?» chiese l'uomo leggermente irritato dalla domanda, la quale ai suoi occhi appariva davvero banale.
«Vede, Laura sostiene che sia stato un camion bianco a uccidere sua sorella, non crede sia stata lei stessa. Quindi, da dottoressa quale sono, credo di sapere quale sia la motivazione. Venga con me» disse infine Silvia alzandosi e dirigendosi verso la finestra che dava sulla strada.
 
Dunque, poco dopo anche Mark Jemmin si alzò, anche se lentamente e di malavoglia, e raggiunse la dottoressa.
«La casa del suo amico si trova più o meno laggiù, giusto?» domandò Silvia scostando le tende color prugna e indicando lungo viale, dove si trovavano altre case.
«Sí, proprio là» rispose con voce rauca.
«Ed è probabile che Nicole sia stata investita qui davanti, magari mentre camminava venendo da casa sua?» domandò ancora la dottoressa.
«Sí» rispose ancora l'uomo, forse leggermente spazientito.
«Quindi Laura avrebbe potuto tranquillamente guardare dalla finestra subito dopo aver ucciso Jessie, vedere Nicole mentre veniva investita e scambiare quest'ultima con sua sorella» affermò sicura.

Stava mettendo insieme tutti i pezzi di un puzzle che fino ad allora era incerta se completare o meno.
«E perché avrebbe dovuto farlo?» domandò Mark, ora un po' incuriosito.
«Perché si era pentita. »

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