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L'ospedale di Kyedi non era molto lontano dal centro del paese. A piedi sarebbero stati due chilometri. La musica che sentiva in lontananza le dava un senso di protezione e di pace. Si trattava della festa a cui Mike l'aveva invitata ad andare insieme a lui. Sicuramente voleva liberarsi la mente dai brutti pensieri e divertirsi insieme alla dottoressa. Mike cercava spensieratezza, ne era certa.
La porta si aprì.
Lo sguardo si posò sui capelli neri, ricci e scompigliati, poi sul volto distrutto e stanco.
Si guardarono reciprocamente.
«Mi dispiace» disse con un filo di voce. Sembrava stesse piangendo dal tono che aveva assunto, ma evidentemente stava trattenendo le lacrime.
«Mike vieni qua». Silvia diede due colpetti sulle lenzuola.
L'uomo annuì, chiuse la porta e si avvicinò lento alla dottoressa. Si sedette accanto a Silvia e appoggiò il capo sopra la sua spalla. Mike iniziò a piangere senza soffocare i singhiozzi. Silvia non lo aveva mai visto piangere.
«Sfogati, sfogati. Fallo fino in fondo». Silvia accarezzò i capelli dell'amico in modo più dolce possibile. Capiva benissimo lo sconforto, la frustrazione e il senso di colpa.
«Vorrei poter andare a quella festa con te» affermò Silvia, dolcemente.
Mike alzò la testa, il volto rigato dalle lacrime.
Si asciugò il viso con le mani e sospirò.
«Anche io. Perdonami».
«Mike non devi scusarti, sono io che dovrei per aver dubitato di te».
«Sono un essere spregevole» insistette scuotendo il capo con un'espressione di sdegno.
«Dimmi, cosa avresti potuto fare? Avresti dovuto sacrificarti? E per quale scopo? Non saresti stato comunque in grado di tornare indietro» spiegò la dottoressa. «Smettila di incolparti. Ora non ne hai più motivo».
Mike non rispose, la dottoressa sperava avesse capito.
Sollevata Silvia chiuse un attimo gli occhi, ancora non si sentiva del tutto in forma. Si addormentò senza neanche volerlo, e Mike le rimase accanto per due ore.

Fred faceva avanti e indietro nervosamente di fronte al distributore automatico. Il caffè era alquanto deludente e di conseguenza non riusciva a dargli beneficio.
Si passò una mano tra i capelli e poi si decise a sedersi sulla prima sedia colorata che trovò. Non poteva ancora credere a ciò che aveva sentito da Mike. Un signore- al tempo già cinquantenne- aveva investito sua figlia riducendola a brandelli, e non ne era affatto pentito. Come si può uccidere una figlia così, senza vacillare neanche una volta in quindici lunghi anni? Rabbrividì al pensiero che in giro vagassero questo tipo di individui disturbati.
Appoggiò il mento sulle mani incrociate e osservò il poco traffico in corridoio. D'altronde era meglio così. Tranquillità e pace. Scorse d'improvviso due persone che si avvicinavano confuse e spaesate. Strizzò gli occhi e riconobbe un uomo e una donna. Si guardavano intorno, sembrava cercassero qualcuno.
Fred continuò ad osservarli, e se ne pentì quando si avvicinarono in evidente ricerca di informazioni.
«Mi scusi» disse la donna robusta, con un viso tondo coperto da ricci scuri. «Stiamo cercando una donna, ma non troviamo alcun dottore» spiegò desolata, mentre l'uomo che la affiancava si continuava a guardare intorno, quasi indifferente.
«Beh, mi dica chi sta cercando e vedrò se posso aiutarla» rispose freddo l'ex ispettore.
«Silvia Wond». L'uomo intervenì di colpo, come se si fosse svegliato in quel momento.
Fred rimase per un attimo impietrito, si bagnò le labbra sorpreso.
«Vi accompagno» affermò alzandosi e infilando le mani in tasca con disinvoltura.
I due lo seguirono fino a quando arrivarono davanti a una porta.
«La conoscete bene?» domandò prima di entrare.
«Sì e no» rispose la donna ondeggiando, come se fosse una situazione comica.
Fred inarcò le sopracciglia e spostò il suo sguardo all'uomo, sperando che questo potesse dargli una vera risposta.
«Siamo suoi colleghi di lavoro» spiegò lui annuendo. «Volevamo soltanto sapere come sta. Siamo venuti a sapere che ha avuto un incidente» terminò facendo spallucce.
«Chiamarlo incidente non credo sia appropriato, comunque ora sta bene» lo corresse Fred.
«Possiamo entrare?» domandò indicando la porta.
«Come vi chiamate?»
«Frank ed Elise».
«Aspettate un attimo» Fred entrò silenziosamente chiudendosi la porta alle spalle.
Silvia dormiva beatamente, sembrava stesse sorridendo e Mike aveva gli occhi chiusi, ma non dormiva in quanto tamburellava le dita sulle ginocchia.
«Mike?» sussurrò.
L'uomo alzò di scatto la testa e si spaventò. Deglutì e gli fece un cenno con il capo.
«Sono arrivati due colleghi di lavoro... Vorrebbero entrare, gli dico di andarsene» decise Fred.
Mike fece cenno di assenso e tornò a chiudere gli occhi. Sembrava distrutto.
«Silvia dorme, non credo dobbiate disturbarla» spiegò una volta uscito.
I due si guardarono.
«Oh, è un peccato» disse Elise dispiaciuta. «Dovevo parlarle».
Fred inarcò un sopracciglio.
«Era venuta a parlarle?»
«Sì, c'è una cosa che deve sapere»
«Può dirlo a me».
Elise guardò Frank pensierosa.
«Sono un suo amico si può fidare. Le riferirò tutto il prima possibile. Di cosa si tratta?» insistette.
«Ecco vede, ieri sera durante il mio turno, mentre facevo il mio solito giro di controllo in clinica, ho notato la dottoressa Wond intrufolarsi nella camera 7. Ho pensato avesse i suoi buoni motivi e l'ho lasciata fare».
«Dunque?»
«Mezzora dopo sono entrata nella camera e ho visto che la dottoressa non c'era più, quindi ho deciso di prendere una boccata d'aria. Così sono uscita e ho notato qualcosa di strano. C'era un tipo che caricava qualcosa nel suo furgone e non ci ho fatto troppo caso, finché non ho visto la macchina di Silvia ancora nel parcheggio della clinica. E poi stamane ho saputo che la dottoressa era stata rapita».
«Sì, purtroppo è così» confermò Fred, senza capire però quale fosse il punto.
«Il fatto è che, anche se non indossavo gli occhiali e la vista potrebbe avermi tradito, ho creduto di scorgere un'altra figura nel furgone» spiegò gesticolando comicamente.
«Un'altra figura?».
«Sì, seduta accanto al posto di guida» confermò annuendo.
Elise sospirò, poi aggiunse: «Era una donna».

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