58

187 16 2
                                    


58


Era dolorante e aveva i muscoli indolenziti. Qualcosa le stringeva i polsi e le caviglie, inoltre sentiva un'insolita pressione sul viso e subito pensò che le avessero messo del nastro adesivo per non farla urlare. Fu in quel momento che ricordò. Il capo dei camion era arrivato, l'aveva addormentata con una sostanza sedativa, e poi l'aveva caricata nel suo furgone. Le prudeva il viso, avrebbe voluto grattarsi il naso e la fronte, ma i polsi legati non glie lo permisero. Dannazione!
Aveva un mal di testa terribile e di conseguenza la nausea, ma si trattenne dato che non poteva peggiorare ulteriormente la situazione. Ci mancava solo che si vomitasse addosso per poi puzzare peggio di un cassonetto dei rifiuti.
A fatica aprì un po' gli occhi e vide i propri piedi, senza scarpe né calzini, legati con una spessa corda. Poi sentì un fastidio alla schiena, dovuto alla corda che legava i polsi e che le premeva provocandole ora un forte dolore. Era supina, distesa su un divano, non seduta su una sedia come in tanti film.
Silvia ne aveva visti molti  in cui avveniva una scena di rapimento, e in tutti la vittima veniva dapprima rinchiusa in uno stanzino freddo e inquietante come uno sgabuzzino o uno spazio per gli attrezzi, e poi veniva legata ad una sedia con nastro adesivo e corde. Poi il film poteva prendere due diversi direzioni. La vittima veniva salvata improvvisamente da un eroe poco prima di venire uccisa, oppure approfittava della distrazione del rapitore per tagliare la corda che le stringeva i polsi. In quest'ultimo caso avveniva una lotta dove il comune criminale perdeva la vita e la giustizia trionfava.
Sarebbe stato bello far parte di un film, perché in qualunque modo si sarebbe salvata.
Purtroppo Silvia stava vivendo realmente tutto ciò.
Qualcosa le diceva che quello che la tratteneva non era un comune criminale, bensì un pazzo da manicomio, e inoltre quel luogo le metteva più inquietudine di uno stanzino per gli attrezzi.
Si trovava in un attico. Lo spazio era enorme e dipinto di rosso scuro. Era al centro della stanza, e intorno a sé notò che erano posti diversi candelabri spenti.
Rabbrividì. Credeva che Mike fosse una persona normale, che non potesse spingersi fino a tanto. Forse non stava bene, aveva dei gravi disturbi e lei non se ne era accorta minimamente. Fece dei respiri profondi, continuando a credere che, anche se Mike non era sano di mente, non le avrebbe fatto nulla di male.

Dei passi si avvicinavano, li sentiva distintamente.
Rimase immobile per alcuni secondi, il sudore dovuto alla paura le aveva imperlato la fronte. Non sentiva alcun rumore. I passi erano cessati bruscamente. L'unico suono era il battito del suo cuore, che risuonava nella cassa toracica. «Dove sei Mike?» biascicò in un sussurro. Poi ammutolì. Il suo sguardo si posò sulla porta. Lentamente la maniglia stava scendendo.

Aspetta un attimo...

Prima che la porta si aprisse venne investita da un'amara verità.
Le salirono le lacrime agli occhi, stava tremando.
Mike non aveva nessun attico.




LA PAZIENTE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora