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Bip, bip!

Si sentiva molto leggera in piedi sul quel tappeto volante. Era rosso e sopra vi era scritto IN RICORDO A UNA GRANDE DOTTORESSA.
Mantenendo l'equilibrio riusciva ancora a volare schivando le nuvole che viste così da vicino sembravano minacciose e gigantesche. Passò dallo stare in piedi allo stare in ginocchio per sentirsi più sicura. Non sarebbe voluta cadere e morire una seconda volta. Vide ancora la luce gialla da lontano. Non era il Sole né un'altra Stella. Era l'ingresso per le anime dei morti, per le anime elevate. Arrivata a destinazione il tappeto si arrestò da solo davanti all'entrata che non sembrava avere una porta. Si pulì i piedi scalzi sul tappeto rimasto a terra ed esitò prima di entrare. Tentò di sbirciare appoggiata al bianco stipite e vide un lungo corridoio illuminato, che sembrava infinito.

«La tua stanza è in fondo, se non fai in fretta rischi di arrivare tardi alla festa di benvenuto». Trasalì. Chi è che parlava? La voce le risultava familiare. Finalmente entrò e alla sua destra scorse una persona che si affacciava da una camera in corridoio. Sembrava un vero e proprio hotel. Strizzò gli occhi per vederla meglio. Non poteva crederci!
«Papà, sei tu!». Corse verso Gareth e lo abbracciò con forza. Poi si distaccò per guardarlo. Era rimasto come lo aveva visto l'ultima volta, forse anche gli indumenti erano i medesimi.
«Sei diventata bellissima» disse accarezzandole una guancia con le sue dita affusolate. «La mia bambina».
«Non credevo di rivederti più» mormorò Silvia commossa.
«Questo è un grandissimo regalo» spiegò Gareth. «Ora vai a prepararti, ti aspetto».
Silvia chiuse gli occhi e quando li riaprì non vide più nessuno. Allora si voltò verso il lungo corridoio e lo percorse a passo svelto, constatando che tutte le porte erano chiuse. Forse si stavano preparando anche gli altri. Chissà.
Raggiunse la fine del corridoio e vide che l'ultima porta era aperta. Entrò e quella che vide era una lussuosa camera. Letto a baldacchino, un armadio gigante e un prezioso lampadario di cristallo che emanava una luce celestiale. Si avvicinò al letto e vide che sopra vi era steso un bellissimo vestito rosso, lungo, con strascico e pietre. Immaginò dovesse indossarlo, e così fece. Dopodiché uscì dalla camera e raggiunse la sala dove suppose avvenisse il ricevimento di benvenuto. Le luci erano spente e non appena entrò si accesero come per incanto. Un uomo iniziò a suonare divinamente il pianoforte, e migliaia di persone la circondavano senza però opprimerla in alcun modo. Si sentiva beatamente. Una ragazza mora e molto elegante si avvicinò e le porse la mano.
«Piacere, io sono Nicole» le sorrise.
Silvia si emozionò. «Oh, il piacere è mio. Sei bellissima» la elogiò.
«Vedi» incominciò la ragazza. «Sono molto felice di conoscerti, volevo complimentarmi. Sei stata coraggiosa».
«Ti ringrazio, l'ho fatto con il cuore. Spero che tuo padre un giorno capisca quello che ha fatto. Sei una ragazza d'oro, vedo la tua anima». Si sorprese a parlare così, le sembrava di essere sua madre.
Nicole sorrise e poi se ne andò. Gareth prese il suo posto e le offrì un calice di delizioso champagne. Ma non appena glie lo porse Silvia notò calare un velo di tristezza sul suo volto. Le appoggiò una mano sulla spalla.
«Temevo accadesse» disse.
«Accadesse cosa?».
«Che venissero a prenderti. Devi tornare a casa». Gareth fece cenno dietro di lei. All'entrata del salone vi erano Fred e Mike, a braccia conserte, che chiacchieravano allegramente come due buoni amici. Silvia fu contenta di vederli così affiatati. Ridevano e scherzavano. Non l'avrebbe mai detto. Diede un bacio al padre e mentre usciva scorse da lontano Mark e Jessie Jemmin che cantavano sotto le note del pianoforte.
«Oh eccoti» disse Fred. «Sali in macchina».

La dottoressa si sorprese. Era già uscita dal quel posto senza passare per il corridoio. Evidentemente c'era un uscita alternativa e molto più veloce. Entrò in una lussuosa macchina blu scuro e in un attimo piombò nell'oscurità. Sentiva solo un rumore.

Bip, Bip!

Stava diventando assordante.

Bip, Bip!

Spalancò gli occhi e vide bianco.
Si trovava forse nel letto a baldacchino?
Si guardò intorno. Più che in un letto sembrava stesa su una barella, chiusa in una piccola stanza. Per un attimo rimase male nel non vedere il vestito rosso che le calzava a pennello pochi istanti prima. Ora c'era solo un bianco e scarno lenzuolo. Era attaccata a una macchina che rilevava le funzioni vitali. Ecco da cosa proveniva quel fastidioso suono.
Non aveva mai creduto fino in fondo ad Evelin, ma dopo quell'esperienza si convinse di essere entrata nel mondo dei morti ed esserne uscita poco dopo. Silvia aveva visto la morte, ne era convinta.
Si voltò verso la sua sinistra e vide una figura di spalle. Era Fred.
«Fred...» sussurrò con un filo di voce che le risultò stranamente acuta. Sembrava non avesse parlato da un secolo.
L'amico si voltò di scatto e i suoi occhi si riempirono si gioia.
«Per l'amor del cielo».  Si inginocchiò e le prese la mano. Silvia notò gli occhi umidi.
«Temevo di perderti» le spiegò scuotendo il capo.
«Cosa è successo? John?»
Fred abbassò lo sguardo e diventò serio di colpo.
«Quel bastardo ti ha spedita in sala rianimazione. Ti avrebbe...»lasciò la frase a metà e si strofinò nervosamente gli occhi. «Non ne parliamo ora. Sappi solo che non ti farà più del male».
Silvia annuì.
«Da quanto sono qui?».
«Un'intera giornata, considerando che sono le nove di sera» rispose accennando un sorriso.
«Mio dio». Si passò una mano sul viso e si accorse che stringeva l'immagine sacra che teneva in tasca. La guardò frastornata.
«Mike ha visto che ti fuoriusciva dalla tasca dei jeans e te l'ha messa in mano. Ora è andato a prendersi un caffè, era sconvolto».
Silvia immaginò che il merito fosse di Mike. Soltanto lui sapeva che John sarebbe stato l'unico a poterle fare del male, e doveva essersi allarmato per qualche ragione.
«Mike ti ha raccontato di...»
«So tutto Silvia, so tutto» la bloccò. «Non è il momento di parlarne, ma se può rassicurarti non ce l'ho con Mike. Ci siamo ripromessi di andare d'accordo d'ora in poi. Ce lo meritiamo tutti, soprattutto tu».
Silvia sorrise debolmente. «Grazie».

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