57- (quindici anni prima)

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57

Era tutto pronto. Aprì per un'ultima volta la borsetta da passeggio verde militare. Fazzoletti, chiavi, cellulare, portafoglio. Non avrebbe portato vestiti, scarpe o altro. Si sarebbe comprata tutto e avrebbe ricominciato daccapo. Aveva recuperato i risparmi che nascondeva in camera ed erano sufficienti per rifarsi una vita con il suo fidanzato. Perfetto, poteva andare. Prima di chiudersi la porta alle spalle osservò la sua camera dove aveva vissuto tutta l'infanzia. Si commosse solo in quel momento guardando i quadri che aveva dipinto da piccola, il letto dove aveva dormito tutte le notti, le lenzuola con gli orsetti che stringeva con forza quando aveva gli incubi. Non poteva portarli con sé, altrimenti avrebbe dato nell'occhio. Sopra alla scrivania però vide il suo peluche preferito. Era un piccolo cagnolino marrone, con gli occhi neri e grandi. Sembrava che la stesse guardando come per dirle «Ehi, sono qui! Portami con te!». Nicole esitò, ma subito dopo lo prese e lo mise in borsa. Era troppo affezionata per lasciarlo marcire in quella casa.
Le scale di legno scricchiolavano ad ogni suo passo, seppur leggera come una piuma. Pregò che nessuno la udisse. Si sentiva come una reclusa che tenta di evadere dal carcere senza farsi notare dalle guardie. Era quasi arrivata al portone quando guardò alla sua sinistra, verso il salotto. Sua madre, seduta sulla poltrona, si era appena voltata verso sua figlia. Dal suo sguardo traspariva il costante stato di stress in cui viveva giornalmente. Non disse una parola Anne, ma Nicole vide una lacrima solcarle il viso. Come aveva fatto con il suo peluche, avrebbe voluto portare la madre con sé, ma non era nello stato adatto per essere portata da una parte all'altra. Malgrado il rischio che correva aumentasse man mano che rimaneva in quella casa, si avvicinò ad Anne, le fece una carezza sul viso e le diede un sonoro bacio sulla guancia. «Ti voglio bene mamma» le sussurrò all'orecchio. Anne la guardò dolcemente, ma improvvisamente si incupì fissando qualcosa alle spalle della figlia.
Nicole capì subito il perché di quel cambiamento repentino e si voltò affranta.
John era immobile accanto allo stipite della porta della cucina, furibondo. Aveva gli occhi rossi e le mani chiuse a pugno. Anzi, solo una delle due, perché in quella di sinistra stringeva una bottiglia di birra vuota. L'ennesima bottiglia di birra.
Con un rapido movimento la scagliò contro le due donne, fortunatamente non aveva una buona mira, perché non colpì né Nicole né Anne. La ragazza per un instante si chiese chi fosse il bersaglio.
«Dove diamine credi di andare?»
Nicole strinse la mano della madre per darle coraggio, anche se forse in quel momento quella che aveva più paura era lei stessa. Digrignò i denti. Aveva le lacrime agli occhi. Quella situazione era diventata insostenibile.
«Ti ho fatto una domanda Nicole, dove credi di andare?» urlò stavolta.
«Me ne vado!» rispose fiera. Non riusciva più a tenersi tutto dentro.
Suo padre corrugò la fronte. Nicole conosceva bene quell'espressione. All'apparenza più calmo, ma in realtà più rabbioso e violento che mai. Eppure quel giorno non ebbe timore di parlare, di sputargli addosso tutto il veleno che fino ad allora era stato lui a vomitare nei loro confronti.
«Me ne vado per sempre, e ti lascio affogare nell'alcool e nella tristezza che tu stesso hai creato. Non sai quanto te lo meriti» affermò.
"Bastardo" pensò anche, ma non osò pronunciare quella parola. Si sarebbe spinta troppo oltre, e sua madre ci avrebbe rimesso la pelle.
«Okay, vattene» rispose lui, apparentemente calmo.
Nicole era allibita. Non si fidava di quell'invito. Esitò e guardò Anne che, tuttavia, non le diede alcuna risposta. Gli occhi tristi erano l'unica emozione che trasmetteva.
«Su! Vai!» la incitò il padre con una specie di cantilena, e con una voce stranamente acuta. «Ti ho detto vattene, non mi hai sentito?»
Un momento di silenzio. Si guardarono per un instante, poi John furioso prese per un braccio Nicole e aprì la porta di ingresso.
«Cazzo, ti ho detto di andartene! Vai, coraggio.»
Così la spinse fuori dalla porta, e prima di chiudere proferì le sue ultime parole.
«Non farti più vedere.»
Chiuse la porta con un tonfo. Nicole trasalì. Una lacrima le rigava il volto, poi diventarono due.
Si sedette sugli scalini della propria casa e scoppiò a piangere. Non sopportava l'idea che sua madre rimanesse in casa con quel mostro; beveva di continuo ed era folle. Uno psicopatico.
Nonostante questo però doveva pensare al suo bene, in quanto era giovane e aveva ancora tutta la vita davanti per farsela rovinare in tale modo. Se Anne non si trovasse in quelle condizioni avrebbe acconsentito e l'avrebbe addirittura spinta ad andarsene. La povera era sempre stata sana di mente, ma era oltremodo sensibile. Per questo motivo, quando John aveva iniziato a bere e diventare violento, doveva essersi sentita oppressa. Il dispiacere l'aveva corrosa a poco a poco, ed ora non era più la stessa. Doveva essere curata in un buon ospedale. Ce ne era uno a Kyedi, e la gente ne parlava molto bene. Doveva essere proprio una buona clinica e si augurò che Anne potesse venire curata lì. Si asciugò le lacrime con la manica della felpa e si tranquillizzò pensando che un volta essersi sistemata in casa di James avrebbe denunciato il padre. A quel punto si sarebbero accorti della madre e se ne sarebbero occupati. Sì, sarebbe andato tutto bene.
Si alzò e sorrise. Era libera, veramente libera.
Iniziò ad incamminarsi. James l'aspettava.

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