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Il cuore ancora le martellava in gola quando si svegliò, o per meglio dire, riprese conoscenza. Sentiva un dolore acuto alle tempie, ma uno ancora più forte in fronte. Provò a muovere le mani e capì di essere distesa su qualcosa di morbido e che era avvolta da una coperta di lana.  Aprì a fatica gli occhi ma quando ci riuscì vide che era a casa di sua madre nel salotto, e ricordò. Aveva aperto la porta e poi... che diavolo era successo?
«Silvia santo cielo, sei sveglia, ti senti bene?».
Si voltò alla sua destra. Niente. Poi alla sua sinistra. Sussultò.  A pochi centimetri dal suo volto c'era sua madre. Gli occhi, lo sguardo erano sempre gli stessi.  Aveva qualche ruga in più e le borse sotto gli occhi, e forse era un pochino più magra. Si sorprese di una cosa in particolare: l'abbigliamento. Evelin era solita vestire in modo semplice, con i soliti jeans e una maglia ridotta a uno straccio per quante volte era stata lavata, stirata, indossata. Nessun gioiello, le davano fastidio. Quel giorno invece era insolitamente eccentrica; al collo pendeva una collana con un grande ciondolo a forma di sole, indossava una lunga maglia arancione e con una fantasia rossa a spirali che si sfumavano con altri colori, pantaloni neri a zampa di elefante e molti bracciali e anelli con amuleti e simboli esoterici.
Non si soffermò più del dovuto ad osservarla, quindi accennò un sorriso.
«Sì, cioè... no. Ho dolore alla testa» disse, ma già si sentiva meglio.
Evelin sospirò e appoggiò una mano alla fronte, dispiaciuta.
«Cavolo, sei entrata così, tutto ad un tratto... Ero concentrata sulle mie cose, mi hai davvero fatto prendere un colpo e ti ho lanciato questo in testa. Credevo fossi un ladro » disse mostrandole un oggetto che non indentificava ma che le ricordava qualcosa, qualcosa di sorprendentemente familiare.
«No non ti scusare, colpa mia, credevo ti fosse accaduto qualcosa».
Tentò di alzarsi e si mise seduta sul divano beige su cui era stata distesa fino a poco prima e si adagiò sullo schienale. Ora era davvero in una posizione comoda.
Evelin sorrideva in modo comprensivo, e aveva quello sguardo che solitamente precedeva una frase che ti avrebbe tirato su di morale.
«A quanto pare ricordavi le chiavi sotto al vaso, ma ti eri scordata dell'incenso».
Silvia rimase per un attimo immobile, poi capì.
Mamma la maga!
Come aveva fatto a dimenticarsene? E lei che aveva scambiato il fumo dell'incenso con un incendio. Che idiota!
Subito venne colpita dal tavolino, anzi, da ciò che stava sopra al tavolino. Incenso, pendolo, un libro impolverato, un piatto pieno d'acqua e dei fiammiferi. Inarcò un sopracciglio; nulla aveva un collegamento, almeno per lei non aveva un collegamento.
«Purtroppo ho dovuto aprire quasi tutte le finestre, avevo paura che l'odore ti potesse dare fastidio »
«Grazie». Non riuscì ad aggiungere altro.
Ci fu una breve pausa, un po' di imbarazzo forse.
«Ti posso offrire del tè, caffè...»
Non la fece terminare.
«Caffè, grazie».
Evelin annuì con un debole sorriso (forse si sentiva ancora in colpa), e poi si allontanò.
Cosa le avrebbe detto una volta tornata, come avrebbe iniziato il discorso? Respirò profondamente e cercò di rilassarsi, non aveva motivo di agitarsi tanto. Evelin non si era mostrata risentita, e poi, che diamine, era sua madre! Avrebbe potuto parlare liberamente con lei. O no?
Poco dopo la donna tornò con il caffè e lo appoggiò al tavolino dicendo «attenta che è molto caldo», e quando Silvia se lo appoggiò alle labbra- si maledì per non aver ascoltato sua madre, era davvero bollente- decise che avrebbe rotto il silenzio imbarazzante che incombeva in quelle quattro mura. Dunque appoggiò la tazzina e guardò la donna invecchiata di fronte a lei che aveva lo sguardo rivolto a terra, assente.
«Mi dispiace» iniziò col dire, Evelin intanto aveva alzato lo sguardo e si guardavano negli occhi. «Mi sento una merda».
Sua madre la lasciò continuare.
«Me ne sono andata quando avevi più bisogno di me, sono stata egoista, uno schifo di figlia. Avrei dovuto starti accanto quando è morto papà, avrei dovuto consolarti. Avevi solo me, e io me ne sono andata, ho preferito la carriera».
Avrei dovuto, avrei dovuto...
Le faceva male la schiena, dunque cambiò posizione, si sporse in avanti.
«So di non poter rimediare e anche che non si torna indietro, mai. E se mi chiedessi di andarmene perché non sopporti la mia presenza ti capirei».
Silenzio. Evelin schiuse le labbra come per dire qualcosa ma poi le riavvicinò. Altro silenzio.
«Silvia, devi capire che sì, sono stata male per la morte di Gareth, e ho vissuto in solitudine il dolore, ma sei pur sempre mia figlia. E credo anche che se non te ne fossi andata di tua spontanea volontà, ti avrei allontanata io. Eri giovane, ma abbastanza sveglia e in gamba da farti una vita. Non potevo lasciare che badassi a me e che soffrissi a causa mia. È andata come è andata e devi sapere che non ti ho mai dato la colpa di nulla, né provo alcun tipo di risentimento».
Disse tutto d'un fiato e Silvia pensò che non fosse tipico di sua madre, ma apprezzò la velocità e soprattutto il contenuto di quel discorso.
«Sarebbe bello essere in tre oggi, non credi?» domandò Silvia.
«Siamo già in tre Silvia, tuo padre sicuramente è qui con noi. Ricordi quando ti promisi che ci avremmo parlato?»
Ovvio che se lo ricordava.
«Sì, ero molto piccola e ci credetti veramente» rispose sorridendo.
Evelin si accigliò. «Perché non avresti dovuto crederci? Oggi sarebbe perfetto».
«Scusa?»
«Dico che oggi sarebbe l'ideale per metterci in contatto con lui».
Silvia si grattò il mento confusa e poi, annuendo, accettò.
Così sua madre si allontanò senza dire nulla e poi tornò con un oggetto in mano, molto simile a quello che le era stato lanciato contro. Assomigliava a una radiolina.
«Quello che ti ho lanciato in testa purtroppo dovrò buttarlo, ma per fortuna ne avevo uno di riserva» disse raggiante mostrandole e agitando l'oggetto grigio scuro, mentre si sedeva di nuovo di fronte a sua figlia, su una vecchia sedia.
Le chiese di concentrarsi e così Silvia fece. Poi Evelin premette un pulsante del K2- aveva scoperto che si chiamava così- e aveva chiesto ad alta voce «Gareth, sei qui con noi?». Fecero silenzio, poi fece partire la registrazione molte volte, e la dottoressa non capì davvero il perché. Si sentivano solo fruscii, sempre gli stessi. Alla fine, però, la donna avvicinò lo strumento all'orecchio di sua figlia e fece partire la registrazione. «Senti» disse. Quando, dopo meno di due secondi, Silvia sentì una voce maschile che disse "Si ci sono Evi" all'unisono, si portò una mano alla bocca e le salirono le lacrime agli occhi.

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