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Il vento muoveva con forza le foglie degli alberi- beh, quelle rimaste- e le nuvole in cielo sembravano incitarla a girare la chiave e andarsene il prima possibile. Vattene vattene!
Invece non riusciva a partire, qualcosa la bloccava da diversi minuti incollata al volante, con le mani tremanti strette intorno ad esso. Ripensò a tutto ciò che era successo in quella casa. Per prima cosa la voce di suo padre. L'aveva sentita veramente? O forse se l'era solo immaginata?
Realtà o suggestione Silvia, eh? Dovresti saperlo dottoressa!
Picchiettò nervosamente le dita al volante e poi pensò alla conversazione avuta subito dopo con Evelin. Avevano parlato del lavoro di Silvia e del problema con Laura Jemmin.
La dottoressa le aveva confessato che stava indagando un po' sul suo amico e che si sentiva in colpa per questo. «Lo stai facendo per aiutarlo, non è questo quello che conta?» le aveva risposto sua madre. Ma il vero problema era; lo stava facendo per lui o perché glie lo diceva Fred?
«Sei sempre stata una ragazza intelligente, se senti che qualcosa non va vuol dire che hai ragione, e se senti che devi saperne qualcosa in più è perché ne hai veramente bisogno. Nella vita puoi fidarti solo di te stessa, hai capito?»

Durante il tragitto verso l'ospedale era iniziato a piovere, ma nulla di troppo eccezionale, o almeno non se ne preoccupò. La preoccupava invece l'orario a cui aveva fatto appena caso. Era tardissimo e non poteva tornare a lavorare quando, in teoria, sarebbe già dovuta andare via. Sicuramente tutti si sarebbero accorti dell'inganno, ma oramai non poteva farci più nulla. Quel che è fatto è fatto, si disse.
Tentò di non pensarci, dunque tornò a casa e parcheggiò al solito posto. Dopotutto si era tranquillizzata. Fece per aprire lo sportello, ma uno strano movimento la fece bloccare. Deglutì e si chiuse a chiave all'interno del veicolo. Le era sembrato di vedere qualcuno correre e nascondersi subito dopo, forse dietro una delle tante colonne poste nel parcheggio sotterraneo. Non aveva nulla per difendersi, tranne le chiavi che stringeva con forza. Quindi si fece coraggio e scese.
«C'è qualcuno?»
Oltre alla sua c'erano poche macchine, la maggior parte delle persone parcheggiava al piano superiore e non capiva veramente perché. C'era solo un'utilitaria rossa, un suv nero e un furgoncino bianco... Un furgone bianco. Rimase pietrificata. Era in fondo, lontano parecchi metri da lei. Si avvicinò con cautela. Dentro di lei sapeva che era giusto, doveva scoprire chi la stava perseguitando. Avvicinandosi non vedeva altro che i vetri oscurati del portabagagli, e notò quanto fosse pulito esternamente.
Mancavano pochi metri e poi avrebbe potuto segnarsi la targa e segnalare il furgone, denunciare il conducente per stalking e...
Sobbalzò. Il fari si accesero e il furgone fece retromarcia. Poche manovre e accelerò, forse troppo. Silvia era rimasta immobile per la paura, ma quando si accorse che quell'ammasso bianco le stava andando contro a tutta velocità fece in tempo a buttarsi ad un lato. Pochi secondi in più e sarebbe morta.
Niente, non poteva sfidarlo, era troppo pericoloso, avrebbe vinto sempre lui. Sempre. Nonostante non si fosse ancora capito chi ci fosse alla guida. Maledizione!
Silvia decise di tornare in macchina, non a casa, non ancora. Ovvio, era tardi, i colleghi del suo turno se ne erano già andati, e di fretta, e avrebbe trovato quelli del notturno, ma non le importava. Poteva benissimo aver dimenticato qualcosa nel suo studio, e nessuno avrebbe potuto impedirle di entrare. Aveva bisogno di vedere Laura e l'avrebbe fatto.

L'ospedale appariva diverso, strano, sotto le uniche luci dei lampioni e del chiarore della luna, la quale era quasi piena quella sera. Si avvicinò lentamente al suo posto di lavoro; le piaceva il silenzio, quella tranquillità che poche volte poteva concedersi. Era completamente diverso dall'ambiente spento, monotono e dall'aria densa dell'ospedale.
Entrando non vide nessuno, fece diversi metri senza vedere anima viva, le parve strano. Ma si accorse che più si avvicinava al reparto 6, più aumentavano i brusii, le voci. Qualcosa le disse che avrebbe dovuto velocizzare il passo, una sorta di sesto senso suppose.
Scorse una donna che camminava a passo svelto, e si avvicinò ulteriormente.
C'era una folla davanti alla camera sette, un vasto gruppo di persone nervose e apparentemente incapaci di gestire la situazione.
Ma quale situazione?
Si fece largo tra le donne e gli uomini sparpagliati in modo disordinato lungo il corridoio e si piazzò davanti ad altri che parlavano animatamente. La camera sette era socchiusa.
«Cosa succede?»
Quasi tutti si voltarono e la scrutarono in modo sospetto, senza dire una parola.
Silvia sospirò scocciata e mostrò il cartellino.
«Sono Silvia Wond, del turno precedente al vostro. Posso sapere cosa sta accadendo?»
Una donna mora, con la coda e il naso all'insù si fece avanti.
«C'è una paziente che ha avuto una crisi, ma è tutto ok»
«Non sembra che sia tutto ok date le vostre facce. Di che crisi si tratta? La paziente si chiama Laura Jemmin?»
Decise di rispondere un uomo. «Sì, ma, ci perdoni, dovremmo occuparcene noi. Lei cosa c'entra?»
«Conosco quella paziente più di tutti voi messi insieme».
Si scambiarono tutti sguardi veloci, come per cercare consenso reciproco prima di dare l'approvazione.
«Ok» rispose ancora l'uomo, «ha iniziato a urlare all'improvviso e quando siamo arrivati in camera sua ci ha dapprima aggrediti verbalmente, poi si è calmata. Ha cominciato a parlare di camion...»
Silvia non lo fece terminare, si limitò a dire «Bene, grazie» ed entrò nella camera, lasciando socchiusa la porta.

Laura era seduta sopra al letto, con lo sguardo assente. Silvia si sedette accanto a lei e le carezzò i capelli delicatamente; si accorse solo in quel momento che erano bellissimi, neri e molto lunghi.
«Cosa è successo? Mi hanno detto che sei stata male»
«È tornato»
«Chi? Il capo dei camion?»
Laura si voltò verso la dottoressa. «Sì! È venuto qui, è venuto qui!»
«E, dimmi una cosa, quando è venuto qui?»
«Prima, prima è stato prima».
Silvia congiunse la mani sopra le ginocchia e si chinò in avanti. Immaginavo pensò. Ma come era riuscito quel camion ad arrivare lì poco prima di lei ed andare via senza che lei lo vedesse? D'altronde era ripartito poco prima di Silvia da quel parcheggio. E poi, come era riuscito il conducente ad entrare nell'ospedale passando inosservato? Tutte domande a cui non trovava una risposta.
Rimasero in silenzio forse per dieci minuti. Silvia pensava, Laura si era addormentata, o almeno così sembrava finché non sussurrò: «Prima ti segue, poi ti fa impazzire, e alla fine ti uccide».

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