41

863 55 25
                                    


41


Era andata dal capo e aveva chiesto due giorni di permesso per non andare a lavoro. La scusa era stata decisa accuratamente tanto da sembrare credibile. Semplice, non troppo fantasiosa per non destare sospetto alcuno. Ho avuto una ricaduta, aveva detto al suo capo che la stava guardando di sottecchi e con la fronte corrugata, mentre si portava la penna alla bocca e ne mordeva il tappo blu, ahimé consumato. La cosa migliore da fare era guardare gli occhi del capo, perché soltanto guardando il tappo mordicchiato sarebbe salito a chiunque un conato di vomito difficile da bloccare.

Nonostante lo sguardo severo, il capo aveva accettato; aveva finalmente posato la penna sulla scrivania e aveva detto «Ok» senza alcuna condizione.
Davvero sorprendente, ma per il momento magra consolazione, perché i minuti, le ore passavano e lei, ora, era seduta sul divano fissando il vuoto.
Nella sua testa martellavano le stesse petulanti parole che da ore le impedivano di pensare ad altro. Sí, erano le parole della lettera, che a volte si rifiutava di definire tale.
Spesso sembravano eccessivamente ingombranti, altre volte risultavano straordinariamente significative e accusatorie, mentre pochi istanti dopo erano cosí poco significative, semplicemente dettate dallo stato d'animo di un uomo stanco della solitudine, stanco di sentirsi un fallito.

Poverino, pensava a volte, era solo, stanco della vita... Nessuno merita di morire in questo modo...

Chissà cosa é stato capace di fare, pensava altre volte. Se ha scritto quelle cose vuol dire che qualcosa ha fatto.

Basta! Smettila di tormentarti!
Si disse alla fine per autoconvincersi.

Dunque, a poco a poco, si calmò, si rilassò e i suoi pensieri iniziarono a spostarsi altrove, in maniera incontrollabile, in automatico, senza volerlo. Non era la prima volta, ma da quando era venuta a conoscenza della morte di quell'uomo, qualcosa in lei era mutato.
La morte, le difficoltà e l'incapacità di vivere, la famiglia, gli affetti, gli errori...
Chi di noi può dire di avere un passato senza ombre, senza scheletri nell'armadio, senza sospetti, senza rimorsi? Stavano pian piano riaffiorando dentro di lei i ricordi di un passato, del passato di Silvia Wond, a cui non pensava da tempo e i quali aveva accantonato in un angolino buio della sua mente.

Le vennero in mente le parole di un suo vecchio amico e collega, Daniel, con il quale andava all'Università insieme. Si ricordò di quel periodo in cui lui proponeva la tesi di laurea.
E questo Silvia se lo ricordava bene, eccome! Daniel le faceva una testa con quella tesi... Il suo amico diceva che quando il passato ritorna a bussare alla porta vuol dire che c'é qualcosa di irrisolto, che la mente ha accantonato in modo del tutto inconscio, per non soffrire o per l'incapacità di affrontare una situazione.

Ma quale?

Ebbe un sussulto; le venne in mente il volto della madre, Evelin, del padre, Gareth, una situazione familiare complicata dalla quale si era allontanata in maniera menefreghista ed egoista, questo perché non aveva saputo affrontarla.

Come posso aiutare i miei pazienti se non sono stata in grado di aiutare mia madre, proprio quando aveva piú bisogno di me?

Un magone allo stomaco, una forte sensazione di nausea, un tremore all'anima, e infine un pianto improvviso, di sfogo. Il suo volto era completamente bagnato, le lacrime le avevano rigato il viso. Aveva gli occhi rossi ed era come se avesse trattenuto quelle lacrime da chissà quanti anni.
Era come se le sensazioni di allora fossero diventate attuali, vive come non mai, come se neanche un giorno fosse passato. E fu cosí che capí che quell'inaspettato e improvviso dolore era dovuto al forte senso di colpa per non essere stata vicina a sua madre quando ne aveva disperato bisogno. Il senso di colpa la stava divorando pian piano, a poco a poco.
Dunque si asciugò le lacrime con le coperta con la quale si era riscaldata fino ad allora. Fece dei respiri profondi, a pieni polmoni, socchiuse gli occhi e si tranquillizzò lentamente.
Cosí si diresse in bagno, si lavò il viso con dell'acqua fredda, e nel frattempo osservò la propria immagine riflessa sullo specchio. Forse aveva finito di piangere, ma il suo sguardo era turbato, stanco.

Se allora avessi avuto un po' della maturità e dell'esperienza che ho ora...

Si disse tra sé e sé, con rimpianto.
Tuttavia era arrivato il momento di non lamentarsi piú, ma di rimboccarsi le maniche, con piú determinazione di prima. In fondo aveva deciso lei di aiutare la paziente, aveva deciso lei di indagare a tutti i costi, senza freni. Non poteva tornare indietro. Cosí, inaspettatamente, trovò la forza, e la sua espressione diventò piú rilassata, serena, sicura.

Non era mai stata piú motivata...

LA PAZIENTE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora