Prologo

1.4K 82 19
                                    


-Vaffanculo!- gridai sbattendo la porta.

Corsi giù per le scale asciugandomi le lacrime ed il sangue che mi scorreva sullo zigomo.

Dovevo avere il sopracciglio spaccato.

L'aveva fatto di nuovo.

Quel bastardo ubriacone di mio padre aveva di nuovo frugato nella mia stanza, alla ricerca dei soldi che stavo faticosamente tentando di mettere da parte per l'università.

Lo odiavo.

Non avrei mai rinunciato ai miei sogni.

E non mi importava di essere il ragazzino del quartiere malfamato.

Non mi importava di dovermi inventare ogni tipo di lavoro per guadagnare qualche soldo.

Ce l'avrei fatta, in qualche modo.

Frugai nella tasca del giubbotto.

Avevo bisogno di una sigaretta per calmarmi.

Di solito funzionava.

Con le mani che mi tremavano, la testa china e la sigaretta in bocca, mi diressi a passo lento verso il mio "rifugio" per le occasioni come quella.

Lì avrei potuto piangere in santa pace.

Non era di certo la prima volta in cui mi capitava di dover passare la notte a vagare per il quartiere come un'anima in pena.

Io e mio padre ce le eravamo date di santa ragione anche quella sera.

Ormai succedeva sempre più spesso.

Avrei voluto spaccare tutto, prendere a calci ogni cosa che mi si presentava davanti, ma non era una buona idea farmi beccare lì vicino.

Tempo fa mi sarei rifugiato a casa di Ernie, ma decisi di evitare, ricordandomi dell'ultima volta in cui avevo avuto la stessa brillante idea.

Quella pazza di sua madre nel vedermi con gli occhi neri ed il labbro spaccato era uscita fuori di testa, gridava ed Ernie era stato costretto a chiedermi di andare via pur di farla stare zitta.

Ovviamente era uscito anche lui con me.

Forse più perché non sopportava di vedere sua madre in quelle condizioni che perché avesse voglia di passare tutta la notte a gelarsi il culo.

Oltrepassai i binari, accertandomi che nessuno mi potesse vedere.

Svoltai in una sorta di piazzola buia, nascosta tra il vecchio deposito, un'infinità di cianfrusaglie metalliche e qualche carrozza in disuso.

Non c'era anima viva.

Sospirai sedendomi su un mucchio di scatoloni.

La tettoia aveva impedito che si bagnassero, erano comunque molto umidi, ma non importava.

Sarebbero andati comunque bene per quella notte, qualora fossi riuscito a chiudere occhio.

Mi lasciai andare con le spalle contro il muro e cercai di godermi in santa pace la mia sigaretta.

Gli occhi mi pizzicavano e i dolori dovuti alla lite iniziavano a farsi sentire.

L'istinto fu quello di piangere.

Era cambiato tutto da un giorno all'altro.

Mia madre mi mancava da morire e mio padre...beh, mi mancava anche lui.

Era una persona umile, un gran lavoratore, prima che tutto andasse a rotoli.

In poco tempo la malattia di mia madre e la sua prematura scomparsa avevano fatto precipitare la situazione.

PeriferiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora