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Silvio Quaranta era conosciuto come uomo integro e morigerato fuori casa, al cui interno aveva creato un regno del terrore dal quale sembrava impossibile fuggire. Tra le sue passioni rientravano il gioco d'azzardo (con il quale si era creato un ingente numero di debiti), l'alcool e le prostitute, che caricava sul proprio furgone almeno due volte a settimane, non curandosi della disperazione della moglie, al corrente di tutto ma incapace di reagire.

Quando Lorenzo compì cinque anni, il padre pensò che fosse sufficientemente grande per divenire una nuova vittima della sua ira, cosa che avvenne in seguito a un litigio futile e degenerò con un lancio di coltelli dal quale il bambino si salvò scappando in camera. Lorenzo, quella sera, fece una promessa a sé stesso. Non si sarebbe mai più fatto toccare da quel porco che aveva il suo stesso sangue.

Lo stesso non si poteva dire di sua madre il cui volto, che un tempo poteva dirsi piacente, era rovinato da tumefazioni ed ecchimosi, mentre al suo bel sorriso mancava già da tempo qualche tassello. In quelle situazioni Luca ripeteva il rituale che consisteva nel nascondersi insieme al fratellino sotto al letto, fino al termine della tempesta. "Qui sotto siamo in un mondo parallelo." diceva Luca. "Nessuno può trovarci, se non lo vogliamo."

La svolta a quella storia, se così poteva definirsi, avvenne il giorno seguente il giorno di Natale, nel 1994. Silvio Quaranta, tornato a casa ubriaco fradicio dopo aver perso un'altra ingente somma di denaro a poker, aveva preso a sfogare la propria rabbia picchiando la moglie e Luca, dopo aver nascosto Lorenzo, non si era messo di fianco a lui, ma aveva sceso le scale, deciso ad affrontare il padre, stufo di vessazioni e soprusi.

Ma Luca non poteva immaginare che sua madre, invece di essere grata per il suo intervento, si sarebbe schierata dalla parte del suo aguzzino. Rifilò un potente schiaffo al figlio, guardandolo con disgusto. "Non permetterti mai più di parlare in questo modo a tuo padre!".

"Tu sei pazza!" commentò Luca, con la fragilità di un ragazzino dodicenne. "Come puoi continuare a farti trattare in questo modo?".

"Fatti gli affari tuoi, idiota!" commentò il padre, assestandogli un pugno sul volto. Luca cadde a terra, impotente, vittima dei suoi stessi genitori, i quali gli stavano dimostrando quando aveva sempre pensato, cioè che la sua nascita fosse stata solo un errore. Provò a rialzarsi, ma il suo ego lo costrinse a restare a terra. Silvio lo scrutò con disgusto. "Come immaginavo. Sei un moccioso senza palle."

Nella testa di Lorenzo, che aveva udito tutto, scattò qualcosa che lo avrebbe condizionato per il resto della sua vita. Con assoluta tranquillità uscì dal proprio nascondiglio, scese le scale e passò di fianco ai suoi familiari, i quali nemmeno si accorsero della sua presenza, poi entrò in cucina, prese una sedia e vi si arrampicò. Allungò la mano verso il ripiano della cucina e scelse il coltello più grande, quello che suo padre più volte aveva minacciato di usare contro la moglie.

Nonostante la portata, Lorenzo lo brandì con semplicità e con esso tornò in soggiorno. Nessuno udì il rumore tenue dei suoi passi, a causa delle urla concitate. Il bambino si fermò dietro il padre, il quale seguitava a schernire Luca, che nel frattempo si era alzato in piedi ma indietreggiava a ogni movimento dei genitori, terrorizzato. Lorenzo, senza pensarci due volte, si alzò sulle punte e con tutte le forze di cui disponeva conficcò la lama nella schiena di Silvio.

L'uomo gridò e si accasciò a terra, toccandosi la schiena. La moglie strillò, colta alla sprovvista, mentre Luca fissò il fratello con aria incredula, incapace di pronunciare una sola parola. Quando Silvio sfiorò la lama, incrociò lo sguardo di Lorenzo, il quale senza alcuna pietà staccò il coltello dalla schiena e con esso infierì ripetutamente, con un freddezza inaudita. Il padre non ebbe il tempo di reagire e dopo l'ennesima coltellata esalò il suo ultimo respiro.

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