Presente

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Riapro gli occhi e mi ci vogliono secondi prima di capire dove sono. La casa è silenziosa e da dietro la tenda filtra luce. È giorno e ho dormito bene, fin troppo bene. Mi sono addormentata piangendo ma non dormivo così da... beh da tanto. Mi lavo, mangio e poi torno in ospedale. Lo ripeto più volte prima di alzarmi e sentire lo stomaco brontolare. Sto in silenzio e temo che da qualche parte, di sotto, ci sia ancora lui. Poi un rumore di pentole in cucina mi fa venire la pelle d'oca. Vorrei scappare nella doccia e lavarmi, ma la valigia è rimasta di sotto e non ho intenzione di entrare nella mia vecchia stanza.

Mi faccio coraggio e mi avvio verso le scale, l'orologio segna le tre di pomeriggio e mi viene in mente che ho lasciato giù anche il cellulare. In soggiorno trovo Boston seduto sul divano a fissare il suo telefono ed in cucina ci sono Taz e Klaus.

"Ciao bambola." Mi dice Taz, non è cambiato di una virgola, ha ancora i capelli neri, cortissimi e i soliti tatuaggi sul collo e sulla faccia. Mi abbraccia e mi tiene stretta per un secondo di troppo, lo stesso fa anche Klaus. Avrei preferito che Boston non ci fosse, perché non riesco a guardarlo negli occhi e stringo i denti quando mi tiene tra le braccia senza dire niente.

Sul tavolo ci sono tanti contenitori diversi pieni di cibo.

"Le ragazze mandano questo." mi spiega Klaus, e non riesco a fare a meno di pensare che sembri un funerale. "Vorrebbero passare anche loro, più tardi." Ha sempre avuto gli occhi gentili lui, lo conosco da quando mi sono trasferita con papà. Mi guarda come se mi stesse chiedendo il permesso, per vedere se la penso come Mindy.

"Si, possono passare. Potete anche venire al ospedale." Dico e li vedo rilassare. "è strano che non ci sia nessuno di voi." Ho già affrontato quello che mi faceva venire più ansia, gli altri sono il male minore.

"Gli siamo comunque vicini, ci sono due infermiere che ci tengono aggiornati ogni ora." Dovevo immaginarlo.

"Ti abbiamo portato il pick-up, cosi non devi prendere sempre il taxi e siamo disposti a portarti avanti e indietro." Ci medito un attimo perché sarebbe comodo, ma troppo imbarazzante. Guardo il più giovane di loro che fissa ancora il telefono, scrivendo a non so chi.

"Penso sia meglio se avviso Mindy, prima che qualcuno degli Angels si presenti." Ci metto un po' a trovare il telefono che è sul tavolino invece che nella giacca, dove l'avevo lasciato, ma poi, anche quella è nello sgabuzzino e non sul divano, e la borsa non più per terra. Ho tre chiamate perse: due di Mindy e una dell'ospedale. Chiamo lei per prima, uscendo sul portico.

"Stai bene?" mi chiede non appena risponde.

"Si, scusami mi sono addormentata."

"Ah" sento ed è strano anche per me. "Mi lavo, mangio qualcosa e arrivo va bene?"

"Si certo, era solo per vedere come stavi."

"Novità?"

"A me non dicono niente." Sento l'amarezza nella voce ma è una semplice questione legale, loro due non sono imparentati.

"Mindy." Dico facendo una pausa. Sono seduta sulla sedia bianca e fisso il posto dove un tempo coltivavo cibo. È solo una chiazza di terreno arido adesso, in mezzo ai colori sbiaditi dei vasi. "Ho detto al club che possono passare a vederlo." Mi aspetto urla, rabbia o che lei mi dica che sto sbagliando, invece si limita al:

"Va bene. Penso sia giusto." Mi chiedo se li abbia mandati via per me.

Metto giù e digito l'altro numero. Mi risponde una signora che mi passa il medico della terapia intensiva. Non mi dice molto, mi chiede più volte quando torno, perché è meglio parlarne di persona. Ci sono momenti in cui sai, in cuor tuo quello che sta per accadere. Non sono sempre stata così pessimista però, quando a dodici anni ho trovato babushka sul suo letto ero convinta dormisse, ho persino aspettato ore che si svegliasse, prima di chiamare papà. Ora invece mi sto preparando al peggio.

Tutto o nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora