Sto seduta aspettando che diventino le due. Non sanno ancora che sono qui, nel buio della macchina a pensare ad uno stupido quadro. Una sciocchezza a dir la verità, una lezione insignificante di storia alle superiori, una foto in un libro e una spiegazione di tre righe. Un artista segnato per sempre da un evento traumatico- quando avrebbe visto recuperare il cadavere della madre suicida nel fiume, con il volto coperto, appunto, dalla sua camicia da notte bianca.
È un'altra di quelle informazioni che avevo messo da parte, che poi tornano a tormentarmi.
L'ho sognato quel quadro. Quella stupida immagine dei visi coperti da un telo; le due facce che si baciano, senza vedersi. E più ci penso più mi immedesimo, perché so come ci si sente dentro una bolla, so cosa vuol dire coprirsi la testa ed isolarsi. So quanto pesa quel velo che copre gli occhi, e sono convinta che sia stata lei a tirarselo sugli occhi prima di saltare nell'acqua: per non guardare in faccia la morte.
Io d'altronde - l'ho tirato dopo averla vista.
Respiro profondamente e stringo i pugni, guardo ancora l'orologio e conto indietro da cinque per non cominciare a piangere, per non urlare o abbandonarmi all'ansia che sento. È quello che mi ha consigliato di fare Michael dopo averlo chiamato, dopo aver confessato le bugie e i nuovi tormenti, dopo aver rivisto Linda.
La sua visita ha fatto scoppiare l'ennesimo attacco di panico, forse uno dei peggiori; dal armadio buio di Mindy e papà, tra la bottiglia di gin e l'arma nascosta ho scelto il mio telefono. Non so nemmeno come abbia fatto a capire frasi tra i sussulti e i balbettii ma mi ha tranquillizzata, mi ha trasmesso speranza, ha detto che ho tanto ancora da dare. Non dev'essere stato facile sentire: sto per farla finita. Ma è stato bravo, ha mantenuto la calma e mi ha dato un numero da chiamare. Il contatto di qualcuno più vicino e anche più esperto a suo dire, il suo mentore: Melvin.
Non ho mai capito fino in fondo l'utilità del tempo passato nei loro uffici. Non volevo stare un ora a concentrarmi su me stessa, sui miei problemi e pensieri, non volevo pagare qualcuno perché mi ascoltasse. Mi vergognavo di non poterlo dire a voce alta, mi vergognavo di non avere nessuno di cui fidarmi completamente, con cui sfogarmi a gratis. E poi, volevo evadere la mia vita; fingere di essere il personaggio di un film o di qualche libro, fingere di essere qualcun altro oltre a me.
Ora, invece, mi rendo conto che avrei dovuto usare le loro doti molto prima.
Ci sono momenti nella vita in cui ti trovi di fronte ad un bivio, che sai saranno decisive per il tuo futuro. Il mio primo incontro con il dottor Melvin è stato uno di quelli. Sono convinta non sia manco il suo vero nome. Melvin. Coi suoi capelli bianchi e le rughe nascoste dalla barba incolta. Ha sicuramente più anni di papà, più maglioni di lana e camicie dai colori improponibili, eppure non mi da modo di nascondermi.
Ho la prima seduta impressa sotto la pelle, e come un nastro la riavvolgo più volte di quante dovrei, uno scontro iniziato con la più banale delle domande. La prima volta da tanto che qualcuno mi ha capita senza il bisogno di spiegarmi, il primo che non fosse papà.
"Mi chiedi della mia infanzia perché vuoi sapere se sono stata abusata o meno?" Ero ancora sicura, era una partenza scontata. "In effetti sarebbe più facile per te, attribuire ai traumi infantili le mie tendenze suicide e la mia depressione."
"Ma tu hai subito un trauma."
"Ma non ero una bambina."
"Eri già un'adulta?"
"Certo."
"Con una casa tua?"
"Quasi."
STAI LEGGENDO
Tutto o niente
RomanceDopo due anni, Elena è costretta a tornare nella città natale ad affrontare i suoi demoni e l'uomo che le ha spezzato il cuore. Snipe, V.P. degli Angels M.C., è disposto a tutto pur di riaverla. *** "Voglio questo. Ho sempre voluto solo questo." Tra...