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Mindy non lascia più il suo lato, dorme su una branda portata dal club. Immagino si senta in colpa per quella notte in cui lo ha lasciato, è terrorizzata dalla possibilità che ci abbandoni quando lei non c'è. Non mi odia, ha detto che comprende, che non dev'essere facile perdere un genitore e rischiare di perdere anche l'altro.

Penso di aver acquisito un minimo di lucidità, di essere almeno un po' più calma; succede quando c'è lui, il suo calore mi fa vibrare l'anima, mi riempie la mente di speranza.

So cosa devo fare, di cosa ho bisogno, chi vedere e cosa dire.

Fingo persino di non vedere la moto che segue la mia macchina a noleggio, di non capire che è Boston. Non riesce a guardarmi negli occhi, sembra offeso per l'altro giorno, ma io sono ancora arrabbiata per anni fa, per quando si è unito al coro e ha smesso di essermi amico.

Il club è come l'ho lasciato; se non fosse per il bisogno di soldi e il dover vedere Klaus non sarei venuta ora, o forse mai. Di certo non così presto.

Prendo il mio tempo, passeggio prima dei capannoni e mi stringo la giacca al petto nel guardare tra gli alberi. Un tempo amavo la foresta circondante, il verde e l'odore della natura selvaggia e incontaminata, ora non lo so più.

La noto solo perché un raggio di sole riflette luce contro un pezzo di metallo accanto all'ingresso del capannone. È coperta da un telone grigio, ma con la targa ben visibile. Lo sposto senza fatica e ammiro lo stato della sua amata distrutta. La ruota davanti manca, rimossa forse dalla piega del telaio. Sospiro mentre le accarezzo i bordi, mi chiedo perché non la stiano sistemando, sarà che costa troppo o forse pensano che ne vorrà un'altra.

"Sei nuova?" una ragazza coi capelli lunghi e castani mi fissa dall'altro lato della moto. È fin troppo coperta per essere una groupie, magari soffre il freddo. "Non dovresti essere qui." Mi informa spostando una ciocca dietro l'orecchio. "A loro non piace se tocchiamo le moto." Prende il telone e lo rimette sopra, facendomi un favore. "Vieni!" mi ordina trascinandomi per il braccio sul retro, non faccio in tempo a dirle che si sbaglia, o a spiegarle quanta fatica faccio a tornare in questo posto. Mi spinge dalla porta gialla della ex cucina, e poi fino in fondo in una delle loro stanze. Vecchi ricordi mi tolgono l'aria, l'eco dell'ultima conversazione avuta con Linda sembra essere ancora qui.

"Il letto accanto al mio è libero. Mi chiamo Samanta, Sammi per loro." Mi indica con la testa il piano superiore nel dire il suo soprannome, le stringo la mano calda e mi siedo sul letto perché mi tremano le gambe. Aspetta in silenzio per un po', dovrei dirle come mi chiamo e perché sono qui ma non riesco ancora a spiaccicare parola.

"Non parli molto vero?" annuisco e bevo volentieri il bicchiere d'acqua che mi porge. "Anche io ero messa male quando sono arrivata. Coi miei non parlo da anni e non avevo niente, ma loro mi hanno salvata! Puoi stare finché vuoi, hai il cibo assicurato e sei sempre circondata da uomini bellissimi." Ride quasi imbarazzata, con le guance rosse facendo ballare i piedi avanti e indietro, è abbastanza bassa da non toccare il pavimento dal letto su cui è seduta.

"Ma non sei obbligata a fare niente sia chiaro!" è improvvisamente seria, magari perché mi ha letto il disgusto in faccia, viene a sedersi accanto a me, mi tiene la mano quando aggiunge: "Nessuno ti obbliga a fare niente, c'è anche un'altra ragazza qui. Una brutta storia col suo ex. Però si dà da fare pulendo e non parla quasi mai. È così anche per te?" fisso le sue dita incrociate alle mie e mi meraviglio della sua compassione e un po' anche dei miei pregiudizi. "Devi rispettare le regole: gli uomini presi sono fuori questione e se ti dicono no; fidati che è no. E se qualcuno di sposato ci prova, devi rifiutare. Sempre!" si avvicina di più per essere sicura che abbia compreso.

Tutto o nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora