Un mese prima del presente

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Oggi è il gran giorno. Sto in fila dietro ad un ragazzo alto, con le spalle larghe, è agitato, continua a spostare il peso da un piede all'altro. Fisso i suoi pugni tesi e poi guardo le mie dita rilassate, vorrei essere anch'io come lui ma non provo niente, è ormai da tanto che nulla mi fa effetto. Sento chiamare il mio nome poco dopo il suo e afferro la toga nera salendo i tre gradini. Attraverso il palco e stringo la mano al rettore senza sorridere prima di scendere dall'altra parte circondata da applausi di cortesia. Non c'è nessuno qui per me, nessuno sa che mi laureo.

Attraverso l'auditorium a grandi passi fino ad arrivare all'ingresso principale e faccio il segno al primo taxi della fila per tornare a casa.
"Complimenti!" Mi dice l'autista, è un uomo sui cinquant'anni coi capelli brizzolati.
"Grazie." Fingo anche un sorriso e sono compiaciuta, ai suoi occhi devo essere sembrata quasi normale. Lo prende come un invito per chiacchierare e mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo, do risposte telegrafiche a tutti i suoi quesiti.
"No, non c'è nessuno. Vivono lontani." Vedo che è interessato, vuole sapere di più, i suoi occhi mi fissano dallo specchietto. "Abbiamo appena avuto un lutto in famiglia e sono dovuti restare li. Oggi ho il volo per raggiungerli." Mento senza battere ciglio, non c'è nessun lutto o volo, sono solo io e il pezzo di carta che ho tra le dita.
"Condoglianze." Dice sembrando sincero, annuisco e non aggiunge altro, ha funzionato. Condoglianze, già è questa la parola giusta, condoglianze a me per aver perso il mio obbiettivo. La mia mente ha bisogno di un qualcosa per il futuro, devo distrarmi in qualche modo, oggi segna la fine dell'unica cosa che mi faceva alzare dal letto la mattina. Potrei trovare un lavoro, o starmene chiusa in casa per un altro anno, nessuno sospetterebbe niente, mi sono laureata troppo in fretta. Potrei tornare indietro, stringo forte il rotolo tra le dita e scuoto la testa, e per cosa? Non c'è più niente là per me. Magari si.
Il mio piccolo loft mi accoglie, vivo sola, senza coinquilini o amici. Non ti devi preoccupare di niente, puoi permetterti tutto mi aveva detto lui al telefono, forse se eravamo meno abbienti sarei stata costretta a conoscere gente, a parlare con altri che non fossero il mio terapista. Mi levo tutto quello che ho addosso, resto in mutande e canottiera e mi siedo sul divano poggiando i piedi sul tavolino davanti. Festeggio mangiando il cinese avanzato di ieri, bevendo l'unica birra rimasta. Accendo la TV per fare rumore e fisso la biblioteca piena zeppa di libri, le mie distrazioni e la montagna di cartone nell'angolo a sinistra, le scatole per il trasloco. Le ho comprate un mese fa, quando mi hanno rivelato la data. Doveva essere questo il prossimo passo: impacchettare tutto, prendere il diploma e tornare a casa. Mi sono persino fermata a fantasticare sulla festa che avrebbero dato in mio onore; eppure eccole ancora lì, ancora non toccate.

Quando ormai sono stufa vado di sopra dove ho il letto e il bagno, passo ore a guardare film e video online, ore a tenere la mia coscienza muta e gli occhi impegnati sullo schermo. Sento il mio telefono squillare due volte ma non mi muovo per rispondere, aspetto che passi la segreteria.

Alle sei mi infilo un paio di pantaloni da tuta e una felpa e trascino i piedi fino allo studio, è il mio ultimo appuntamento, sono settimane che gli dico che sto impacchettando cose per tornare indietro.

Mi fa accomodare sulla solita poltrona e si sistema davanti a me, penso ancora che sia troppo giovane e troppo gentile, mi fisso sulla sua fede e la penna nera che tiene tra le dita. Gli racconto com'è andata e quello che ho fatto i giorni passati, mento su quanto sono stata impegnata col trasloco, in realtà non mi sono mossa dal letto o dal divano.

"Quindi è questo il tuo prossimo passo?"

"Sei sposato da tanto?" chiedo finalmente dopo mesi inutili di terapia. Sorride e non risponde, è una domanda inappropriata, dobbiamo parlare solo di me.

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