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È mezzanotte e non ho ancora finito. Mi maledico mentre giro le polpette di carne che ho deciso di fare all'ultimo, ne ho ancora per un'altra ora, come minimo. Dovevo, sono le preferite di Kiddo. Sorrido ripensando al momento in cui tornando, siamo passate vicino a loro in macchina, con la musica a tutto volume. Stefani si è alzata in piedi con le braccia tese urlando: "Sono un angelo!" mentre io suonavo il clacson per salutarli.

Le luci di una moto sul vialetto mi riportano al presente, e so già che non è quella di papà.

"Ciao." Dice soltanto ma non rispondo, mi concentro su quello che sto facendo, togliendo dall'olio quelle cotte. Se è sorpreso per la quantità di cibo non lo dà a vedere. L'isola è sommersa dai contenitori più grossi, quelli per la festa, mentre sul bancone ci sono quelli più piccoli, individuali. Questa è una cosa che mia nonna non faceva, si limitava a farne tanto per tutti e basta, mentre io metto da parte il piatto preferito di ciascuno. Così se lo portano a casa e fanno il bis. Mi è da parte ora e fissa le polpette, allunga le dita e senza chiedere il permesso ne prende uno dalla carta dove le ho poggiate per togliere l'olio in eccesso.

"Quanto aglio!" si lamenta.

"Piacciono a Kiddo." Ribatto la mia voce quasi tornata. È stata a riposo tutto il pomeriggio, Stefani è stata più che felice a parlare di lei per ore guardandomi preparare, ovviamente senza toccare niente. È meglio se non mi aiuta.

"Se piacciono a lui." È il tono che mi dà fastidio, perché è quello che usi per insinuare cose che in realtà non ci sono. Lo fisso a occhi stretti e poi guardando i piccoli contenitori, elenco i gusti di ciascuno.

"L'insalata russa è la preferita di Klaus." Dico indicando il coperchio giallo. "Le golubtsy, e cioè involtini di riso e macinato misto nella foglia di cavolo, per Horse, Poker e Snake. Polpette per Kiddo e pirozhki per papà. Il resto non ha preferenze, mangiano tutto."

Lo guardo prendere un piatto e fare il giro dei contenitori grossi prendendo un po' da ciascuno, mi viene in mente solo ora che è la prima volta che assaggia tutto. Si appoggia al bancone, accanto a me ed in silenzio ne prova uno alla volta. Non vedo le facce che fa perché sono impegnata a creare palline di carne e a tirare fuori dal forno le ultime pirozhki coi funghi, cipolle e patate.

"Anch'io voglio un mio contenitore." Dice dopo aver lavato il suo piatto insieme a tutto quello che avevo sporcato per cucinare. Gliene sono grata e se questo è il suo modo per chiedere scusa, va più che bene, ho appena guadagnato una mezz'oretta.

"Va bene." Dico prendendo un piatto fondo. "Con cosa?"

"Tutto."

"Tutto?" sono sconvolta. "Non può piacerti proprio tutto, su."

"Preferisco l'insalata e quelle focacce ripiene."

"Le pirozhki."

"Ma sono buoni anche gli involtini e le polpette, anche se piene di aglio."

Cambio il piatto con uno da portata e comincio a sistemare la sua porzione privata mentre mi fissa.

"Basta così?" chiedo una volta riempito.

"Più focacce." Scuoto la testa sorridendo, sembra che l'appetito gli sia tornato. Mentre glielo sistemo sul bancone, mi sfiora il collo con le dita, facendomi trasalire e venire la pelle d'oca.

"Scusa." Dice sussurrando un po' troppo vicino, sento il suo respiro caldo sulla spalla.

"Fa niente." Rispondo piano, i battiti più veloci. "Mi sa che ho superato il limite, vedrò di non infastidirti più." E non so come, ma penso di essere riuscita a rifarlo. Non so decifrare il suo sguardo ora, stringe i denti e senza aggiungere altro va di sopra.

Sono sicura di aver fatto la cosa giusta. Certo! No. Si. Era quello che dovevo dire. Mi tormento da sola per un'altra ora, finché finisco di fare tutto, decidendo che è ora di smetterla solo quando mi ritrovo sotto la doccia, con i capelli raccolti a levare l'odore di fritto dalla pelle. Mentre mi lavo i denti sento dei lamenti arrivare dalla sua stanza. Gli ignoro all'inizio, ma poi si trasformano in frasi compiute come: No, Paul torna indietro. E infine quando chiede aiuto mando al diavolo la promessa fatta.

Sta sognando, si gira e rigira nel letto mormorando tutto sudato.

"Sniper." Dico e non succede niente. Mi avvicino al suo letto e i suoi lamenti mi spezzano il cuore. Qualsiasi cosa stia vedendo lo fa soffrire. "Gregory svegliati!" il mio tono molto più alto, quasi un urlo. Apre gli occhi all'improvviso e fissa il vuoto confuso. Col respiro pesante si mette seduto sul bordo del letto, accanto a me con la testa tra le mani, strofinandosi gli occhi prova a levare il ricordo di ciò che ha appena visto. Mi siedo vicina e gli tocco la spalla, è gelato, ha sudato freddo, il mio stomaco si stringe per lui ma cerco di non guardarlo con pietà. È l'ultima cosa di cui ha bisogno, invece fisso la chiazza scura sul cuscino e il lenzuolo.

"Perché non ti fai una doccia." Suggerisco e acconsente senza replicare. Quando sento scorrere l'acqua, accendo la luce e comincio a togliere le lenzuola. Paul Thompson chiunque tu sia, devi smettere di tormentarlo penso quando noto il cassetto accanto al letto mezzo aperto. Esce dal bagno quando ormai ho finito di rivestire i cuscini e mi sto concentrando sul lenzuolo.

"Dovresti parlare con qualcuno Greg." Dico piano senza guardarlo mentre si mette un paio di boxer e butta l'asciugamano sopra la montagnetta di panni che ho creato. "Un professionista, magari un terapista."

"Pensi che non ci abbia provato? Non ha funzionato, si prendono i miei soldi, annottano stronzate su quadernini e poi mi consigliano pastiglie che non fanno altro che rintontirmi."

Almeno ci ha già provato, aggrotto le sopracciglia e scendo dal letto, tirando l'angolo sotto il materasso mentre lui tira quello dal suo lato.

"Con qualcuno che ci ha passato allora. O semplicemente sfogati con qualcuno, il Profeta diceva che nei momenti bui devi sempre trovare qualcuno che ti dia la forza."

"Il profeta?" chiede quasi sconvolto.

"Si, Joseph il Profeta." Chiarisco stendendo l'ultimo pezzo con cui si sarebbe coperto. "Faceva parte dei Sinners se non sbaglio. Si è fermato qui un po' di mesi mentre stava attraversando un momento difficile." Cerco di dirlo con disinvoltura mentre raccolgo da terra le cose da lavare, senza far vedere le guance rosse che probabilmente ora ho ricordando i suoi occhi blu come l'oceano.

"E dimmi un po', eri in ginocchio mentre ti confessava queste cose?" Doveva strangolarmi di nuovo, mi avrebbe fatto meno male. Perdo tutto il colore che ho in faccia e mi mordo le labbra.

"Sei proprio uno stronzo." Dico stringendo più forte al petto le sue lenzuola sporche che come un idiota ho cambiato. Sbatto la porta del bagno e le ficco nella cesta prima di sbattere anche la mia.

Se sono rossa ora non è più per la vergogna. Mi hanno chiamata tanti nomi prima ma mai "puttana" e può averlo detto con parole diverse ma l'insinuazione mirava a quello. Ripenso a Joseph e alle nostre conversazioni notturne, mentre anche lui non riusciva a dormire. Mi vergogno nell'ammettere che ho davvero avuto una piccola cotta per lui, ma è stata solo quello, mi ha trattata solo con gentilezza e rispetto. Poi avevo solo sedici anni, nessuno sano di mente mi porterebbe a letto con mio padre sotto lo stesso tetto, a due passi.

Ho avuto solo un uomo nella mia vita, e siamo stati fidanzati per due anni. Ci sono voluti mesi prima che mi sfiorasse soltanto, ma è stato il primo e unico, nessun'altro dopo. Ci sono state situazioni in cui avrei potuto avere qualcun altro, ma non mi sono permessa di concedere nemmeno un bacio, sono prettamente monogama e ho bisogno di sentire qualcosa per l'altra persona, o almeno conoscerla. Stringo il cuscino tra le braccia e ci affondo la faccia, sei un idiota, e provi pure ad aiutarlo, questo è il suo ringraziamento.

Solo perché viviamo insieme non significa che può offendermi cosi, come se avessi una sfilza di uomini pronti ad infilarsi nel mio letto. Qualsiasi trattamento gentile, qualsiasi favore, ora cessa. Può pulire e farsi da mangiare da solo, o se no che chiami qualche groupie. Vaffanculo Sniper.

Tutto o nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora