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La centrale di polizia è come la ricordavo, una piccola stanza, tre scrivanie e una cella improvvisata. Le sbarre sono talmente sottili da potersi spezzare qualora un biker decidesse di voler uscire, di non restare intrappolato. Ci sediamo alla scrivania in fondo e lo vedo fissare l'orologio sul muro dietro me prima di sedersi, sta valutando il tempo che abbiamo da soli prima che lui si presenti; prima che loro arrivino.

"Le cose vanno proprio male, eh?" sbuffa quasi nel dirlo e sembra triste, mi fa sorridere. È il primo che non mi guarda con pietà, che non finge che vada tutto bene. Lui sa quello che ho fatto. Lui sa di cosa sono capace.

Annuisco sorridendo e si limita a scuotere la testa.

"L'hai uccisa tu?" aggiunge facendomi sorridere ancora di più. Rido davvero, di gusto e gliene sono grata. Gli racconto la verità, dov'ero e cosa stavo facendo. E mi crede, non ha un'ombra di dubbio – proprio come l'ultima volta. Mi fissa attento e vede la verità dietro tutti i miei demoni, mi vede per quello che sono – un'alcolista depressa.

Il suo nipote mi piazza davanti una tazza di caffè nero prima di chiudere a chiave la porta principale, prima di piazzarcisi ansioso accanto. Mi chiede se voglio che il mio avvocato sia presente, ma è solo una formalità, la vera domanda è se voglio aspettare che loro arrivino. Scuoto la testa di no e prende aria prima di svelarmi gli ultimi eventi.

Non sono più un'indagata, hanno scoperto i colpevoli, sono rimasti incastrati da una telecamera sopra un bancomat. Sento i dettagli e mi abbandono sulla sedia, poggio la testa tra le mani e trattengo le lacrime. Una lite per droghe finita male, un debito per forniture non pagato alle persone sbagliate. Avrei dovuto aiutarla e offrirle un posto dove nascondersi, invece ho deciso di tenerla lontana, come ho fatto con tutte le persone negli ultimi due anni. Scelte sbagliate Elena. Mi strofino gli occhi e lo fisso quando mi tocca il braccio.

"Condoglianze." È il primo a dirlo e per qualche strana ragione ripenso al tassista che mi ha riportata nel mio piccolo appartamento, alle bugie inventate e alla svolta che hanno preso le cose. Ancora una volta, cose che avrei potuto controllare, una situazione non attentamente valutata. Sento la cifra della multa da pagare per non essere rimasta dove dovevo e rido, non ho quei soldi, ho persino dovuto chiedere denaro per darle degna sepoltura.

"Le cose in qualche modo si sistemeranno." Mi dice con tono pacato, prima di confessarmi che deve rinchiudermi dietro quelle sbarre di latta qualora nessuno dovesse pagare la cauzione. Rifletto sulla sua scelta di parole quando mi lasciano sola, non un andrà tutto bene, o tranquilla non era colpa tua; come altri hanno deciso di consolarmi l'ultima volta.

Mi rinchiude nella mia inutilità, ma non a chiave e non mi toglie il telefono. Chiamo l'ospedale per scoprire che la situazione è come prima, e che Rosa ha preso il posto di Mindy. Chiamo anche lei ma non mi risponde, decido di credere che è perché sta dormendo e non perché non vuole più sentirmi. Respiro piano, dentro e fuori, con la testa tra le mani cercando di calmare il mio petto ansimante e la voce dei ricordi che mi urla nelle orecchie: è tutta colpa tua!

Ripasso mentalmente le cose per cui andare avanti, rileggo la mia lista mentale:

Papà

Babushka e quello che rimane di Tina

Il mio orto

Me lo ripeto più volte, cerco di immaginare un futuro in cui riderò della situazione in cui mi trovo ora, in cui potrò dire ad altri: "ah pensi che le cose ti vadano male? Io un tempo ero in prigione per l'omicidio di mia madre mentre papà era in fin di vita." Un esempio per altri, una dimostrazione che il peggio trova una fine prima o poi, che al di là dei rimpianti, i sensi di colpa e la sofferenza c'è un sole. Magari non completamente splendente, ma perlomeno luminoso.

Tutto o nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora