Presente

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"E poi il resto lo sai." Dico distratta tornando con la mente nella stanza in cui siamo. Lui ha gli occhi bagnati, mi bacia dolcemente il viso e le labbra, mi consola l'anima tra le braccia. Sono calma, distante, quasi fredda. Pensavo di impazzire a raccontare i fatti, di cominciare a piangere senza riuscire a smettere, invece niente. Alla fine sono solo quelli per lui: fatti. Non posso fargli sentire quello che ho provato, non può condividere il male che sento ogni giorno, che mi fa vibrare il petto e stringere lo stomaco. Non sente il peso che il mio corpo esausto si trascina dietro.

"Non è stata colpa tua." Sussurra facendo scivolare le dita tra i miei capelli, ed annuisco. "Sono stato io." Alzo la testa da sopra il cuscino, mi sistemo sui gomiti e lo guardo sorpresa, non capisco come possa esserne responsabile. Manda giù saliva ed evita il mio sguardo, si siede allontanandosi di qualche centimetro. "Ho esagerato con Toni, sono tornato indietro e..."

Rido. Scuoto la testa e gli tocco le labbra, bacio via le paranoie che vuole addossarsi.

"Non dò più la colpa a voi." Confesso guardandolo dritto in quei occhi scuri.

"Nemmeno tua! Hai fatto tutto quello che potevi. Hai cercato..." sembra quasi disperato.

"Greg." Dico decisa.

"No." Si avvicina e prova a consolarmi ancora, mi culla piano.

"Tu eri fisicamente lontano da Paul." Sfioro la ferita aperta della sua anima, lo sento irrigidirsi, ispirare forte e rafforzare la presa sulle mie costole. "Io ero a due passi." Ed ora sento pulsare la mia.

Mi fissa senza aggiungere altro. "Quello che è successo, le sue ultime parole, mi tormenteranno per tutta la vita. Si tratta di imparare a conviverci, non di superarlo." Annuisco fissando il vuoto, provo a convincere anche il mio subconscio, a fermare il continuo ripercuotere degli eventi.

"Eli." Mi riporta al presente. "Sei stata solo un testimone, lo avrebbe fatto a prescindere." Fingo di essere d'accordo, di dargliela vinta. Mi sistemo più in basso, con la testa sul suo petto e gli impedisco di aggiungere altro, voglio solo che mi stia accanto. Siamo diversi da come eravamo un tempo, forse ora le nostre anime rotte hanno bisogno una dell'altra per completarsi.

Si alza di scatto dal letto e mi dice di aspettare. Torna con in mano un pezzo di carta e me lo porge.

"Una lettera?" mi fa quasi ridere pensare che gli Angeli scrivono quando vengono lasciati. Scuote la testa.

"È il discorso che mi sono preparato, quello che ti avrei detto una volta arrivato a Chicago."

"Ma non sei mai venuto." Stringo i denti perché non volevo rimproverarlo, non ora.

"Siamo qui adesso." Gliela porgo e gli chiedo di leggermela, prende aria ma non la apre, la tiene semplicemente tra le dita, l'accarezza coi polpastrelli; sa già quello che c'è scritto.

"Ero alla festa quando Boston ha chiamato Carl. Ero incazzato nero, incredulo che avevi avuto il coraggio di chiedermi qualcosa che non avrei mai potuto darti. Ero nervoso perché avevi persino osato chiedermelo più volte." Scuote la testa quasi in imbarazzo. "Non mi aspettavo di vederti insieme a Stefani. Cristo, ricordo persino il cappotto grigio che avevi su anche se ero già oltre la terza birra; ero già arrivato al Jack. Avevo deciso che ci avrei fatto il bagno dietro, quello  magari insieme ad altro." Mi metto seduta e stringo le ginocchia al petto, lui sospira quasi colpevole.

"Mi sono sentito sollevato quando siete andati via, contento di non dover più vedere i tuoi sorrisi finti o il modo in cui evitavi di cercarmi. Giuro che sarebbe bastato uno sguardo, solo uno per farmi crollare." Sbuffa, sembra ricordarselo per davvero. "Ma te ne sei andata e invece che seguirti ho deciso di consolarmi con un'altra." Ho bisogno di un altro po' di spazio, lui inspira forte e si tortura il collo. È a disagio quanto me a dirmi questo.

Tutto o nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora