XXIV
(parte IV)
Cora era stufa di aspettare. Seduta sul lettino delle visite, col camice ospedaliero in dosso – corto e scomodo che le lasciava la schiena nuda – e le gambe a penzoloni, continuava a farle dondolare avanti e indietro, sbuffando annoiata.
«Basta, io me ne vado!» disse, saltando giù dal lettino. Aveva atteso quasi un'eternità lì seduta e ora non era disposta a spendere un minuto di più in quel posto.
Adam la guardò alzando un sopracciglio, seduto sullo sgabello di metallo, poco più in là. Strano ma vero, lui che l'aveva portata di corsa al pronto soccorso, si era ritrovato alla fine con una visibile fasciatura alla spalla e il braccio appeso al collo, mentre lei, che fino a poco prima si era lamentata di dolori lancinanti al ventre, ora sembrava essere in perfetta forma, se non si teneva in considerazione qualche linea di febbre.
La giovane si grattò il braccio sinistro, nel punto dove l'infermiera le aveva fatto il prelievo del sangue e dove ora c'era una garzina sterile fermata con lo scotch di carta.
«Come vuoi», disse Adam, senza fare alcuna obiezione, né cercare di dissuaderla. Anzi, ironia della sorte, era d'accordo con lei e non vedeva l'ora di lasciare anche lui il pronto soccorso.
Con un gesto forzato e poco naturale, si liberò il braccio dal sostegno e si rimise la camicia che l'infermiera gli aveva lasciato lì vicino. Poi, sempre un poco a fatica, se la riabbottonò. L'antidolorifico che gli avevano somministrato prima della fasciatura stava ormai passando, ma ancora gli provocava un certo intorpidimento ai muscoli.
Cora si guardò attorno, cercando un posto dove potersi rivestire: quando l'avevano obbligata a spogliarsi, perché le avevano detto che le avrebbero fatto un'ecografia all'addome, per accertare la causa di quei dolori, Adam era già stato preso in consegna da un'altra infermiera; vista la situazione non poteva certo rimettersi i vestiti davanti a lui. Sbuffò di nuovo, guardandolo di sottecchi. Il tacito messaggio di lasciarle un momento di privacy non gli era arrivato.
Si dovette quindi arrangiare, nascondendosi come poteva dietro il lettino. Piegandosi un poco iniziò a infilare i jeans un piede alla volta, ma non era una buona equilibrista e, per non spostare troppo il camice, per poco non si ritrovò con il sedere per terra. Aveva ancora i pantaloni a metà gamba quando la tenda – che faceva da séparé – venne tirata con un colpo secco e da dietro si materializzò un medico.
«Caroline Miller, la nostra miracolata!» la salutò l'uomo, con un grande sorriso sulle labbra. «Mi era arrivata voce che tu fossi in ospedale ed eccoti qui!»
Si avvicinò al lettino e le strinse la mano con cordialità.
«Salve, Dr. Ferretti», ricambiò lei, in forte imbarazzo.
«Te la stavi svignando prima della visita?» la rimproverò bonariamente lui.
L'uomo era un medico di mezza età, brizzolato e costantemente abbronzato; occhi azzurri, denti bianchissimi che amava mettere in mostra in ogni occasione e dava sempre del "tu" alle pazienti donne, soprattutto se giovani e carine. Al "George Clooney" del reparto chirurgia, l'uomo che le aveva salvato la vita, si poteva perdonare questo e altro.
In mano reggeva la cartella clinica che l'infermiera aveva compilato al momento dell'accettazione e della visita preliminare. Sul primo di quei fogli erano stati riportati tutti una serie di dati e gli esami richiesti.
«Allora, rimettiti sdraiata qui sopra», le disse, battendo la mano sul materassino, per sottolineare l'ordine appena impartito, seppur gentilmente, «e scopri la pancia. Lei, signore, è un parente?» chiese, rivolgendosi ad Adam.
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Legacy (#Wattys2017) [completo]
RomanceLa vita solitaria di Sean Hayes, giovane uomo d'affari di successo a capo della Corporation di famiglia, viene rivoluzionata da un messaggio che non può ignorare e al quale non può sottrarsi; viene così attirato a un appuntamento in un luogo fuori m...