Capitolo 33 - parte 2

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XXXIII

(parte II)

Con i primi freddi dell'autunno le sponde del lago Mystic spesso si velavano di nebbia. L'aria si caricava di umidità e la sera calava presto. Quel giorno in particolare, si era alzato un poco di vento e sembrava si stesse preparando un temporale, eppure erano diverse ore che Steven se ne stava seduto da solo in giardino, nel gazebo bianco, a fissare le acque scure del lago.

Il medico all'ospedale aveva raccomandato di controllarlo e tenerlo sveglio almeno per le successive ventiquattro ore per non incorrere in conseguenze gravi, ma non ce n'era stato bisogno, perché non era comunque riuscito a dormire. Non appena chiudeva gli occhi si ritrovava in quel vicolo, con gli spari che gli riempivano le orecchie e lo facevano tremare. In quei momenti sopraggiungevano dei forti giramenti di testa e la nausea gli contorceva lo stomaco.

Steven si rendeva conto di stare male e altrettanto stavano male gli altri, ma non riusciva a esprimere apertamente ciò che provava, perché neanche lui sapeva cosa provava e sentirsi gli occhi addosso lo faceva chiudere ancora più in se stesso. Gli mancava qualcosa, a cui però non era capace di dare una forma o un nome.

Sakura lo aveva osservato per più di un'ora, nascosta nel porticato della cucina, prima di prendere coraggio e avvicinarsi a lui. Gli portò una tazza di tè caldo, sperando gli facesse piacere, ma si sentiva intimorita dall'aura di tristezza che avvolgeva l'uomo; da quando aveva lasciato la villa sembrava passato un secolo e lui era tornato cambiato.

«Come si sente, signor Hayes?» disse la giovane, facendo un breve inchino di saluto. Non le era venuto niente di meglio da dire e pregava di non sembrare troppo sciocca.

Lo vide continuare a fissare lo specchio d'acqua di fronte a sé. Il suo viso, sul quale era presente un'ombra di barba, era immobile e inespressivo, bianco come la foschia che si stava formando sul lago.

Provava un crescente disagio a rimanere lì in piedi. Poi, avvertì provenire da lui un respiro un poco più ampio e un lieve movimento della testa. Si morse il labbro, tesa e nervosa: sapeva che non doveva permetterselo, ma nonostante tutto era ancora più affascinata da lui, da quella fragilità tragica che veniva da lui. «Povero principe Genji...» mormorò sovrappensiero, mentre con un dito si sfiorava rapida sotto l'occhio per asciugare una lacrima.

Quel paragone le venne naturale, ripensando a quanto avesse sofferto l'uomo in quegli ultimi mesi, dalla notizia dell'aborto della moglie, al fatto che lei glielo aveva tenuto nascosto, alle difficoltà del suo breve matrimonio e, per finire, con quel brutto episodio di pochi giorni prima, di cui era stato protagonista. Il secondogenito di Sean Hayes era bello, ricco, di ottima cultura, sempre gentile con tutti; si poteva dire che avesse tutto dalla vita, eppure era così sfortunato.

Vedeva i suoi occhi così spenti, il tratti del suo viso così scarni, che le si stringeva il cuore.

Steven abbassò gli occhi sulla tazza di tè, i suoi vapori salivano in sottili lingue biancastre. Allungò la mano sopra di essa; il calore che accarezzava le sue dita lo fece sorridere.

«Signor Hayes?» insistette Sakura, accennando a sfiorargli il braccio. Ricordò in quel momento che l'ultima volta che lui aveva fatto visita alla villa le aveva detto di chiamarlo semplicemente per nome e allora, in un sussurro appena udibile, balbettò il suo nome.

Steven posò lentamente lo sguardo su di lei e nei suoi occhi comparve una flebile luce di vitalità.

«Indossi l'uniforme della scuola privata», disse con voce roca.

«Sì, signore, sto frequentando l'ultimo anno», rispose la giovane, arrossendo un poco.

Per un breve attimo rivide sulle labbra dell'altro un sorriso dolce, come quello che non gli era mai mancato quando le aveva fatto da tutor, ma fu davvero solo un attimo: scomparve quando lui si scusò per non essere stato presente alla festa del suo diciottesimo compleanno.

Legacy (#Wattys2017) [completo]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora