Capitolo 35 - parte 1

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XXXV

(parte I)

Caroline iniziava a cedere.

Più volte al giorno si doveva ripetere che presto la sua vita sarebbe tornata alla normalità, che si sarebbe buttata alle spalle quel periodo da incubo; ma quando si guardava allo specchio e ossevava il suo viso, con quell'occhio un poco cadente a causa del gonfiore, non si vedeva com'era in quel momento, ma ancora tumefatta, con mezza faccia livida, le labbra gonfie e il sangue secco sulla pelle, proprio come si era vista riflessa quella notte al pronto soccorso. Un'immagine che forse non avrebbe mai cancellato dalla sua mente.

Poi, a quel ricordo, sopraggiungeva la nausea; e, ad acuire il tutto, anche il mal di testa, perché da quell'occhio vedeva ancora sfocato e questo le creava problemi.

Fece un respiro profondo e raddrizzò la schiena: non poteva permettersi di lasciarsi andare.

Caroline si sentiva sola.

Non perché quella casa, da dopo quella tragica notte, la condivideva solo con Kitty, non perché l'altra metà del suo letto era da troppo tempo vuota e fredda. Dentro di sé percepiva strisciante un senso di abbandono. E questo era diventato ancora più presente e pesante dopo la visita di Kenneth, che aveva fatto nascere in lei la falsa speranza del ritorno di Steven. Forse, se suo marito se ne fosse andato per un tradimento, o perché non l'amava più, le si sarebbe spezzato il cuore di certo, ma l'avrebbe potuto accettare; ma era difficile quella situazione di sospensione in cui viveva, senza una parola da parte sua, una chiamata, un messaggio. Era come se l'avesse dimenticata, che per lui non esistesse nemmeno.

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.

Se li avesse riaperti in quell'istante, si sarebbe ritrovata di nuovo nel bilocale di Chen, ancora tutto sottosopra per i lavori? Sarebbe poi uscita per gli ultimi acquisti e si sarebbe imbattuta in quel ragazzo dallo sguardo limpido, e al tempo stesso smarrito, di un bambino e il viso d'angelo?

La suoneria del nuovo smartphone interruppe i suoi pensieri e la riportò alla sua ancor più triste realtà. Quasi aveva la tentazione di lasciarlo suonare fin quando chiunque fosse a chiamare non si fosse stancato. Non aveva voglia di affannarsi per andare a rispondere, non ricordava dove lo aveva posato l'ultima volta; e poi, non era neanche il suo, non c'era dentro nulla di suo, era vuoto come vuota era la sua vita, azzerata da quella notte nel vicolo.

Si piegò in avanti, appoggiandosi con le mani e la fronte al bordo del lavabo del bagno, trattenendo a stento le lacrime.

«Tutto andrà bene. Tutto tornerà come prima», mormorò, prima di fare un altro grosso respiro e tornare in camera da letto.

Quel maledetto aggeggio continuava imperterrito a suonare e non voleva lasciarla in pace.

Con gesti svogliati iniziò a spostare i vestiti abbandonati sopra le coperte in disordine in una ricerca senza esito. Poi, quasi per caso, lo trovò semicoperto dal lembo di lenzuolo ripiegato sulla coperta. Vide sul display il nome della madre e, benché non se la sentisse in quel momento di parlare con lei, rispose.

Le doveva molto.

Non solo perché, appena saputo dell'agguato di Deline, era corsa da lei per darle tutto il proprio sostegno, ma anche perché per lei aveva messo in standby la sua vita, rimandando il matrimonio a pochi giorni dal sì e interrompendo il tour promozionale dell'ultimo libro.

Si sedette sul letto e riuscì a sorridere quando Teresa le chiese se per pranzo preferisse la pizza ai peperoni e salsiccia, al prosciutto, oppure capricciosa.

«Perché non la facciamo noi in casa?» propose lei. «Ho voglia di cucinare. Prendi solo gli ingredienti. Scegli tu.»

«D'accordo! Allora vedrò di sbrigarmi», rispose Teresa; nella sua voce c'era speranza e sollievo nel sentire la figlia aver voglia di fare qualcosa.

Legacy (#Wattys2017) [completo]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora