Capitolo 27- parte 1

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XXVII

(parte I)

Contrariamente a quanto avrebbe fatto di solito, quando arrivavano degli ospiti che avevano affari delicati da discutere con Sean Hayes, Shura portò Burton al piano seminterrato, nella sala del biliardo.

«Qui avremo maggiore privacy», disse, facendo accomodare l'ex poliziotto.

«È qui che fate i vostri loschi affari?» commentò Burton, dando una lunga e approfondita occhiata a quell'ambiente.

La stanza era ampia, con le pareti ricoperte di legno e il parquet sul pavimento. Aveva proprio l'aria di uno di quei vecchi locali dove si andava a fumare e giocare, ma il lusso e la raffinatezza la facevano da padrona. Del resto, non poteva aspettarsi altro da una delle più ricche famiglie di Boston.

Si avvicinò alla rastrelliera con le stecche posizionate in verticale, una accanto all'altra, studiandole meglio, ma già a occhio si capiva che erano di gran pregio, alcune addirittura erano famose, appartenute a grandi giocatori del passato. Si lasciò sfuggire un commento poco educato sull'ostentazione di quella famiglia, mentre ne prendeva in mano una, che aveva attirato la sua attenzione in modo particolare, esaminandola in maniera più approfondita con l'occhio di un vero professionista.

Sembrava molto vecchia e molto usata. Appena sopra l'impugnatura ricoperta in pelle, c'era una specie di scarabocchio scuro, un'incisione fatta sul legno nella quale era distinguibile a malapena una K.

«Al padrone di casa non piacerebbero queste insinuazioni», grugnì Shura, trattenendo a stento la rispostaccia che gli frullava in testa.

Prese il cellulare e, appoggiandosi al bordo di mogano pregiato del tavolo da biliardo, che sembrava un pezzo di antiquariato di gran pregio, telefonò a Sean Hayes. La chiamata fu molto breve, giusto per avvertire che era atteso. Poi, posò il cellulare accanto a lui e attese con le braccia incrociate al petto.

«Non mi importa un accidenti di cosa possa piacere o non piacere al tuo padrone», ribatté l'uomo, in tono secco, mandando una palla in buca e commentando subito dopo, fra sé e sé, che la stecca non era proprio niente male, soppesandone il peso e il bilanciamento.

«Mettiamo le carte in tavola, Burton, cos'è venuto a fare qui?» disse Shura, non nascondendo l'inflessione nervosa nella sua voce, bloccando con la mano la palla che stava scivolando lenta sul panno verde fino alla buca d'angolo.

«Ancora quell'atteggiamento da bulletto di quartiere, Morales?» disse l'ex capitano del dipartimento di polizia di Boston, accennando un ghigno sardonico.

Ricordava abbastanza bene quella volta che un giovane teppistello ispanico un po' troppo scalmanato, era stato trascinato al distretto con le manette ai polsi da un agente in divisa e sbattuto nella gabbia assieme agli altri fermati di quel giorno. Ricordava come quel ragazzetto tutto pelle, ossa e nervi tesi, attaccasse briga con chiunque e sfidasse con occhi pieni di rabbia ogni singola sventurata persona incrociasse il suo sguardo. Faceva persino paura a omoni grandi tre volte più di lui. In seguito non ne aveva saputo più niente, almeno fino a quando non l'aveva incontrato – molti anni dopo – durante le indagini del caso Taylor, quando lui in persona si era presentato a casa Hayes per interrogare Sean e tutti quelli che erano stati in un qualsivoglia rapporto con Anthony Young.

«Che diavolo vuole, Burton?» insistette Shura. Nei suoi occhi si stava riaccendendo la fiammella della rabbia giovanile.

«Non sono affari che ti riguardano, tirapiedi», rispose l'uomo, col medesimo tono.

Shura digrignò i denti, sfidandolo con lo sguardo per diversi secondi, senza però sortire alcun effetto. Non era facile riuscire a intimidire uno come Burton. Si buttò allora a sedere sulla poltrona di pelle e si accese un sigaro, mentre osservava l'altro che continuava a mandare palle in buca.

Legacy (#Wattys2017) [completo]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora