Capitolo 38

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SUMMERS' POV

“Si chiamano Emma e Matthew.” Dice dopo uno dei suoi soliti sospiri, appoggiandosi allo schienale delle scomode sedie in plastica.

Mi volto verso di lui e guardandolo, gli chiedo il permesso di poter posare le mie gambe sulle sue.
Come risposta mi sorride annuendo, e si gira di tre quarti verso di me.

“Posso chiederti solo una cosa?” annuisco. “Puoi solo non fare domande o comunque non interrompermi durante questo ‘orribile’ racconto?” chiede, facendo il segno delle virgolette in aria.

“Sì, d’accordo. Te ne faccio solo una adesso, posso?”

“Sì.” Risponde convinto.

“Perché dici orribile. Avere due bambini è una cosa bellissima.”  Gli chiedo, appoggiando il gomito sullo schienale e posando la tempia sul palmo.

“Adesso lo scoprirai.” Si passa una mano tra i folti capelli e sospira di nuovo.

“Emma ha fatto quattro anni da poco. Quando è arrivata io avevo quasi diciassette anni. Mi ricordo ancora, quando in questo ospedale, lo tenuta in braccio per la prima volta, avvolta in quella copertina rosa.” Spiega, guardando le sue braccia tese, sorridendo come se stesse tenendo una bambina.

“Era, anzi, è praticamente uguale a lei, a Gwen.”

Sto per domandargli chi diavolo sia questa Gwen, ma mi trattengo, mordendomi le guance.

“Gli sono stato accanto sempre, l’ho aiutata, ero con lei quando Emma ha fatto i primi passi, quando ha detto le prime parole. Mi sono comportato proprio come un padre. Durante la scuola, appena avevo i pensieri liberi correvano subito a loro due.”

Di colpo la sua espressione cambia.

“Poi, quel bastardo, si è rifatto vivo. Ha detto che non sapeva che lei aspettasse un bambino da lui. Che lei è sempre stata il suo pensiero fisso nelle missioni, che era la sua musa e tante altre balle che non voglio stare a raccontarti.” Sospira. “Io l’avevo implorata di non rimettersi con lui, ma non mi ha dato ascolto.” Fissa il vuoto.
“Emma aveva due anni quando Gwen ha avuto Matt. Quello stronzo si comportava con il mio piccolo nel modo in cui avrebbe dovuto fare anche con Emma. Mi ero quasi ricreduto su di lui. Poi, quasi un anno fa, è cambiato tutto. Litigavano sempre e lei non ne poteva più dei suoi comportamenti: tornava a casa tardi, molte volte ubriaco. Sai, come nei classici film, si vedono molto spesso scene del genere. Però questi film hanno un lieto fine nonostante tutto. Era il giorno di Natale…” inizia a respirare in modo irregolare, e i suoi occhi si velano di lacrime. A vederlo così due lacrime abbandonano i miei occhi.

“Era arrivata alla casa sul lago dove di solito festeggiavamo. Vedendo la sua macchina nel vialetto ero uscito per andare a salutarla. Mi era corsa in contro, con il volto rigato di lacrime, e mi aveva mormorato: ‘Ty ho paura, tanta paura. Non so più che fare. V-Vuole uccidermi, ti…’ Non aveva terminato la frase. Quel pezzo di merda le aveva sparato un solo colpo alle spalle. Uno solo, un solo colpo l’ha portata via da me, dai suoi figli, per sempre. La guardava con un sorrisetto compiaciuto, mentre aveva la pistola ancora puntata verso di lei. E’ morta tra le mie braccia, è morta con ancora il suo bellissimo sorriso stampato sul viso, con i capelli biondo rame legati in una delle sue meravigliose trecce che solo lei era capace di fare.”

’Prenditi cura di loro, ti-ti prego… Ti, voglio … b-bene f…’ queste sono state le sue ultime parole prima che mi lasciasse per sempre. Sono rimasto lì con lei per attimi infiniti. Non mi ricordo dell’arrivo della polizia, non mi ricordo dei paramedici che me l’hanno tolta dalle braccia, lasciandomi solo più il suo sangue addosso. Mi ricordo solo l’espressione di quel bastardo, non era pentito, per niente. E’ rimasto persino lì ad attendere la polizia.”

Piango in silenzio. Non avrei mai pensato che Tyler avesse vissuto una tragedia simile.

Non so nemmeno cosa dire per ‘consolarlo’. Tutto quello che mi viene in mente mi sembra ridicolo.

“Si vede che la amavi. È stata molto fortunata ad averti al suo fianco, e anche i suoi bambini ora hanno una persona meravigliosa pronta a proteggerli.” Mormoro, piangendo.

“Non direi. Da quando è iniziata la scuola vado da loro si e no una volta al mese, e a volte non ci riesco nemmeno.”

“Tyler,” gli poso delicatamente una mano sulla guancia, per farlo voltare verso di me. “E’ già meraviglioso che tu te li sia presi con te. Credo che altri ragazzi della tua età, non si sarebbero mai presi un impegno così.”

Si disegna un piccolo sorriso sulle sue labbra rosee.

“Scusami se non te ne ho parlato. Ma credimi quando ti dico che sono state numerose le volte in cui avrei voluto dirtelo. Ad esempio stavo per palartene quel giorno che siamo andati al supermercato, quando avevo detto, sovrappensiero, ‘Non farò mai come loro.’ Te lo ricordi?”

Annuisco. “Ti avevo detto di Nate e di ciò che aveva fatto a Beky con la tua amica. Poi siamo arrivati alla cassa o che, e non te ne ho più parlato.”

“Non importa. Adesso quello che conta è che io lo sappia.” Lo rassicuro, sorridendogli.

Mi sorride anche lui, dandomi poi un bacio sulla fronte. “Vieni qui.”

Mi alzo, e molto lentamente mi siedo sulle sue gambe, a cavalcioni.

Avvolgo le braccia attorno al suo collo possente, e mi appoggio sulla sua spalla.
Mi accarezza dolcemente la schiena.

Nonostante la posizione in cui ci troviamo, non c’è la minima traccia di malizia, eccitazione.
Restiamo in silenzio, ma ad ascoltare i nostri battiti, i nostri pensieri.

Rᥱsᥴᥙᥱ MᥱDove le storie prendono vita. Scoprilo ora