Capitolo 7

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*Lili*

Dopo cinque minuti coricata sul divano, il campanello di casa comincia a suonare. Mi alzo e nel mio vestito lungo e svolazzante, corro ad aprire la porta. Mi sento particolarmente a disagio perché non è mio solito indossare questa tipologia di abiti: infatti ho chiesto gentilmente a Madelaine di prestarmene uno. Sulla soglia di casa Cole mi guarda sorridente e sorpreso.
«Andiamo?», chiede, facendosi da parte per farmi uscire di casa. Annuisco e prima che faccia commenti sul mio vestito mi precipito in automobile, come una bambina imbarazzata.
«Perché corri? Ti vedo comunque, sai?»
Effettivamente ha ragione.
Lancio il borsone con il cambio d'abiti e le cose essenziali ai piedi del sedile, dopodiché anche il ragazzo si posiziona in auto. Quando il nostro viaggio per chissà quale posto sperduto ha inizio, mi guardo dallo specchietto dell'automobile e mi sistemo i capelli che voluminosi mi ricadono sulle spalle.
«Allora principessa guerriera, sei pronta?», chiede spostando lo sguardo dalla strada e posandolo su di me. Gli alberi sono ormai assenti, le montagne sono aride ma il suolo è pieno di graziosi fiori gialli: mi chiedo dove mi stia portando.
«Se vuoi rapirmi, dovrai prima fare quattro chiacchiere con mia madre», dico con una serietà quasi spaventosa.
«Tua madre mi ha dato la sua benedizione», afferma con la medesima serietà.
«Le hai parlato sul serio?», chiedo ora seriamente preoccupata.
«No, ma se lo facessi mi direbbe che posso fare quello che voglio, d'altronde chi mi resiste?», dice scherzando e facendo una voce buffa. Scoppiamo entrambi a ridere, sin quando lo squillo del mio cellulare ci interrompe. Lo prendo in mano ed osservo il nome sul display: "numero sconosciuto". Clicco sulla cornetta verde, insicura.
«Chi parla?», chiedo impaurita.
«Lils.»
Quella voce. Quella dannatissima voce. Mi gela il sangue nelle vene, nonostante me lo aspettassi. Mi sento come immobilizzata, come congelata sul sedile dell'automobile.
«È da molto che non ci sentiamo.», mente.
Chiamò un mese fa ed un mese fa ancora. È passato più di un anno da quando decisi di prendere le mie cose per andarmene da Brian e dalla sua violenza, ma nonostante questo lui mi chiama ancora, ogni volta con un numero diverso, ma ogni volta sento la medesima agonia. E nonostante io abbia cambiato numero, lui è riuscito comunque a trovarmi.
«Smettila», sussurro chiudendo gli occhi dal dolore e dalla rabbia. Cole mi fissa preoccupato e confuso.
«Lils non fare sempre così, voglio solo parlare, vederti e sistemare ciò che è successo un anno fa.»
Qualcosa mi blocca dal far terminare la chiamata.
«Ho visto lo show e... voglio solo vederti un'ultima volta», continua, con il suo solito tono da cane bastonato.
«Smettila» ripeto con veemenza, cercando di concentrarmi.
Cole accosta sul ciglio della strada e vedendo il mio volto distrutto mi prende il cellulare dalle mani e schiaccia la cornetta rossa. Mi guarda preoccupato, mentre i miei occhi tristi lo scrutano.

*Cole*

«Cos'è successo?», chiedo preoccupato, guardando il suo viso triste. Scuote il capo serrando le labbra per trattenere quelle lacrime che tanto premono per uscire.
«Vuoi prendere un po' d'aria?»
Lei annuisce e dopo essere scesi dalla vettura cominciamo a camminare lentamente.
«Ne vuoi parlare? Forse ti aiuta». Non so davvero che cosa fare, non sono bravo in queste cose, ma posso cercare di imparare.
«Era il mio ex ragazzo», dice guardando il suolo cosparso da innumerevoli fiori gialli. Il disprezzo nella sua voce è molto marcato, non oso immaginare che cosa sia successo in passato.
«Un anno fa me ne andai di casa, ma lui ancora oggi non ne vuole sapere di lasciarmi in pace.»
C'è dell'altro, è impossibile che sia solo questo a farle così male.
«Perché vi siete lasciati?», continuo, insicuro.
«Non voleva trasferirsi a Vancouver e... non ha preso bene la cosa.»
Mi fermo e mi giro immediatamente, lei fa lo stesso, confusa.
«Ti ha picchiata?», chiedo subito, ansioso.
La sua ultima frase non mi è piaciuta affatto. Scuote il capo, mordendosi il labbro inferiore. Sta mentendo, glielo si legge in viso.
Faccio un passo avanti e mi avvicino a lei, dopodiché l'avvolgo in un forte abbraccio che subito lei ricambia, stringendomi maggiormente. Se quel bastardo dovesse incontrarmi so solo che non avrà un futuro felice. Come si può picchiare questa ragazza dolce e gentile, che non farebbe del male all'alcun minima mosca?
«Lo facciamo questo photoshoot allora?», dice, con la voce soffocata dall'abbraccio. Mi allontano da lei con il volto accigliato.
«E chi ti dice che volevo fare un photoshoot?», chiedo cercando di smorzare la tensione.
«Sai, la macchina fotografica, il luogo e tutto il resto», ride leggermente, ma i suoi occhi sono ancora tristi.
«Okay, non ho voglia di guidare ancora, inoltre è un bel posto.»
Comincio a guardarmi in giro in cerca di una posizione perfetta per fotografare. Mi allontano un attimo da lei e quando mi volto nuovamente verso Lili scopro che è già nella posizione perfetta. Le scatto una foto a tradimento che esce incredibilmente bene. Il suo volto serio viene evidenziato dalla luce del sole. I fiori gialli le risaltano i capelli biondi, in contrasto con il suo magnifico abito nero. Non ho mai fatto una foto così bella senza prima prepararmi. Le do qualche indicazione per le pose, ma lei sa già fare tutto: contrappone la naturalezza all'eleganza e cerca di trovare una sorta di pace in quel vento che le scompiglia i capelli biondi. I fiori danzano intorno a lei ed io ne approfitto per scattare il maggior numero di foto possibili. Alcune volte, quando non se ne accorge, la osservo senza scattare fotografie. Rifletto su che cosa può essere successo nel suo passato e che cosa abbia spinto quell'uomo ad usare la violenza contro un angelo come lei.
«Abbiamo finito, guerriera!», esclamo dopo innumerevoli istantanee scattate.
«Andiamo a mangiare qualcosa?», chiedo guardando l'orologio: tra il viaggio, le chiacchiere ed il photoshoot si sono fatte le tre del pomeriggio.
«Che domande, sono affamata!», strilla felice prendendo gli abiti più comodi in macchina e cercando il posto più vicino per cambiarsi.

Il nostro viaggio verso il centro di Vancouver dura circa un'oretta ed i nostri stomaci gorgogliano rumorosamente.
«Che cosa vuoi mangiare? Italiano, cinese, giapponese...», comincio ad elencare varie culture, cercando sul mio cellulare i ristoranti più vicini.
«Voglio un taco.», dice semplicemente, con il viso pensieroso.
«Un taco? Davvero?!», esclamo meravigliato, pensando a tutti i ristoranti rinomati che si possono trovare nelle vicinanze.
«Sì, Cole Sprouse, desidero ardentemente un taco. O anche due.»
Le sorrido e la porto a prendere i suoi amati tacos ad asporto. Posteggio l'auto nel primo autosilo che scovo e ci dirigiamo su una delle panchine libere della città, in modo da gustarci il nostro meritato pranzo.
«Senti Cole, riguardo a quello che è successo oggi... cerca di dimenticare quella chiamata, okay?», dice ad un certo punto, guardandomi seriamente.
«Non credi che sia un bene parlarne con qualcuno?», le chiedo sperando che sia la cosa giusta da dire in questa delicata situazione.
«In realtà non lo so», ammette, con l'ansia nello sguardo.
«Lili, fai come meglio credi.»
Lei mi osserva e serra le labbra in un sorriso tirato.
Poco dopo mi squilla il cellulare, il nome "Camila" compare sul display.
«Cole!», esclama la ragazza dall'altra parte.
«Hai notizie di Lili?», chiede, senza lasciarmi parlare.
«Non riesco a contattarla. Non risponde né alle chiamate né ai messaggi.»
«Camila, calmati. È accanto a me», le comunico, confuso. Lili non risponde da poche ore e già ne fa un crimine statale.
«È... è con te?», balbetta confusa.
«Sì, vuoi che le dica qualcosa?», le chiedo.
«In realtà volevo solo incontrarla. Solitamente è sul divano con i suoi gatti e con una scorta di cibo spazzatura in mano, perciò mi sono preoccupata.»
Lili rotea gli occhi al cielo: evidentemente ha sentito ogni cosa. Dopo dei frettolosi saluti mi alzo dalla panchina.
«Torniamo a casa?», chiedo sorridendo.
«Torniamo a casa», risponde, sorridendo ora sinceramente.

Nitido || SprousehartDove le storie prendono vita. Scoprilo ora