Capitolo Quattro

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CAPITOLO QUATTRO

Claudio

28 agosto

"Facciamo domani?"
"Ok.."

Eppure domani è arrivato e di Mario in questo giardino non c'è nemmeno l'ombra.
Mi guardo attorno ancora un'ultima volta e poi entro nella struttura.

Saluto allegramente tutti i colleghi e i ragazzi che incontro e mi dirigo nella stanza del personale. Lascio cadere lo zaino verde militare su una sedia e, prima di uscire per iniziare definitivamente il mio turno, estraggo da una tasca la mia agenda personale. Controllo velocemente gli impegni di oggi e poi la rimetto via ed esco.

Percorro il corridoio guardandomi attorno per assicurarmi che Mario non sia in uno degli spazi comuni o con qualche altro operatore, ma di lui non c'è traccia.

Busso alla sua porta e come sempre l'unica risposta è il silenzio. Abbasso la maniglia e la apro appena chiedendo permesso.

Ancora una volta, silenzio.

"Mario?" dico mentre introduco la testa nella sua stanza per cercarlo con lo sguardo.
"Mario?" ripeto un po' più forte quando non lo vedo, spalancando la porta ed entrando definitivamente in quello spazio spoglio.

Caldo misto ad odore di chiuso e di sudore mi colpisce in pieno; mi precipito alla finestra e la spalanco per far cambiare l'aria, tirando la tenda per lasciare libero il passaggio. Butto lo sguardo al di fuori, osservo il prato sotto di me per accertarmi - di nuovo - che il moro non sia seduto lì da qualche parte e poi mi giro a guardare la stanza. Il letto sfatto con le lenzuola bianche e totalmente anonime stropicciate ai piedi, l'armadio spalancato, qualche maglietta buttata sulla scrivania e un paio di pantaloni a terra. Una camera all'apparenza piena ma estremamente vuota.
Una camera all'apparenza vissuta ma in realtà inespressiva ed impersonale.

Prima di uscire per cercarlo altrove spalanco la porta del bagno per controllare che Mario non sia lì.

Ed è qui che lo trovo alla fine.

"Mario.."

Ma lui non mi guarda, non si muove, non reagisce.

Lo fisso.
Seduto per terra, le gambe allungate in avanti, la testa appoggiata al muro dietro di lui e lo sguardo puntato al soffitto.
Gocce di acqua scendono dai suoi capelli bagnati e ricadono lungo il suo viso, percorrendo filo per segno quel profilo così giusto in ogni forma e proporzione.

Deglutisco quando mi rendo conto della situazione.

"Mario..", lo chiamo nuovamente, mentre il mio sguardo si sposta inevitabilmente ad osservare ogni centimetro di pelle lasciato scoperto da quel suo accappatoio nero che tiene stretto ai bordi con le mani.

Le ginocchia sporgenti, le caviglie magre, i piedi tatuati.

Chiudo gli occhi e con prepotenza scaccio dalla mia mente quelle immagini prima che sia troppo tardi.

Mi inginocchio al suo fianco e pronuncio nuovamente il suo nome, passando una mano tra i suoi capelli bagnati per spostarli dai suoi occhi e spingerli indietro.

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