Capitolo Venti

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CAPITOLO VENTI
prima parte

Claudio

11 novembre

Esco dal bagno e mi dirigo senza fare rumore alla porta. Mario dorme sereno e non voglio svegliarlo in alcun modo.

Prima di uscire mi prendo qualche secondo per ammirarlo, illuminato dai deboli raggi del sole appena sorto. A pancia in giù, riposa con il volto rilassato e disteso. I capelli che ricadono sulla federa e sul suo viso in maniera scomposta e buffa, il nasino spiaccicato sul cuscino, le labbra leggermente socchiuse. Mario è così bello da lasciarmi senza fiato. E non gliel'ho mai detto e forse mai lo farò, ma è il ragazzo più bello che abbia mai conosciuto. E, dannazione, potrebbe essere mio. Dio, quanto lo vorrei!
So che non è giusto, ne' per me, ne' per lui, ma ieri sera non mi sarei tirato indietro, se non si fosse fermato lui, riportandomi alla realtà. L'ha fatto apposta, l'ho capito: mi sta bene, mi ha ripagato con la mia stessa moneta. Però io... lo volevo con tutto me stesso. Lo voglio con tutto me stesso. Non posso più resistergli, lo sento nelle ossa, nei muscoli, nei tessuti, nelle cellule, nelle interiora: ovunque. Se già facevo fatica a resistergli prima, quando lo conoscevo solo vestito, da quando ho scoperto ogni singola parte del suo corpo magro ma ben definito sento di non avere più alcuna via di fuga. E so che per lui vale lo stesso. Ci piacciamo, e finalmente riesco ad ammetterlo a me stesso.

Mi piace Mario Serpa. Mi piace il mio educando. Mi piace quel giovane a pezzi. Mi piace quell'uomo dolce e fragile. Mi piace quel  ragazzo steso tra le coperte a cui non riesco a togliere lo sguardo di dosso.

Cazzo Claudio! Perché?

Sospiro, lo guardo un'ultima volta ed esco da quella stanza ormai omologata per due.


*


Entro assieme ai miei colleghi del turno notturno nella sala da pranzo dove si sta per consumare la colazione, per accogliere tutti i nostri ospiti ed assicurarci non manchi nessuno alla lista.

Ginevra mi sta raccontando i progressi fatti da uno dei suoi ragazzi grazie ai laboratori creativi, quando vedo entrare Mario con il volto ancora assonnato. Accanto a lui il suo amico. Mi irrigidisco sul posto quando lo vedo passargli un braccio attorno alle spalle. Ma che vuole da Mario? E perché lui glielo lascia fare? Cazzo, Mario, spostati!

"Tu cosa mi consigli quindi?", mi chiede la mia collega, finendo il suo discorso che non ho ben capito come si è concluso. Mi gratto la testa imbarazzato, senza sapere cosa rispondere: "mmh, rispetta i suoi tempi senza forzarlo", butto lì la prima frase che mi passa per la mente che possa andare bene in quasi tutti i casi, mentre cerco con lo sguardo Mario.
"Sì, è quello che ho intenzione di fare!", mi dice sorridendo, "andiamo a sederci anche noi, dai". Sospiro di sollievo: me la sono cavata.

La seguo, recupero una tazza e del latte dal banchetto, a cui aggiungo i cereali, e poi ci avviamo al tavolo riservato al personale assieme agli altri nostri colleghi. Passo in rassegna tutti i posti finché non trovo Mario di spalle rispetto a dove sono io. Ovviamente seduto accanto a quello.

E ok, sono felice se è riuscito ad instaurare qualche rapporto qui dentro: è normale e giusto così. Ma quel ragazzo non mi piace e più lo vedo più me ne rendo conto. Più lo vedo appiccicato a Mario più me ne convinco. Può essergli amico anche senza toccarlo ogni due secondi, porca miseria!

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