Capitolo Cinque

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CAPITOLO CINQUE

Mario

14 settembre

Guardo distrattamente il calendario appeso al muro bianco mentre con una mano mi stropiccio un occhio sbadigliando.

14 settembre.

Faccio un calcolo veloce a mente e mi rendo conto che sono ormai più di due settimane che vivo qui dentro.

Due settimane di alti e, decisamente molti di più, bassi.

Più di due settimane di astinenza.
Più di due settimane che sono pulito.
Più di due settimane di isolamento.
Più di due settimane di crisi, pianti e nervoso.
Più di due settimane che non ce la faccio più.

E più di due settimane che Claudio, tutti i giorni, prova a vincere questa guerra contro di me.
Anche se, in realtà, un po' ha già vinto: è l'unica persona che lavora qui dentro che riesco a tollerare e che riesco ad avere vicino.

Ogni giorno, quando entra in turno, cerca di convincermi ad uscire dalla mia stanza, ad andare un po' in giardino, a parlare con lui, a confidarmi. Ma io non ci riesco.
È più forte di me. Non riesco a fidarmi di nessuno.

Ma lui, imperterrito, non si lascia abbattere o innervosire dai miei silenzi e si ripresenta con il sorriso sulla bocca e sugli occhi anche il giorno seguente, e quello dopo ancora, e ancora.

Non so come faccia ad essere sempre così allegro e sereno e per questo lo invidio, tanto.

Io sono il suo contrario.
Il suo opposto.

Lui è il bianco. Io sono il nero.

La sua positività e la sua felicità mi urtano il sistema nervoso, se devo dirla tutta. Però allo stesso tempo mi rilassano. Lui mi rilassa.

Quando, piano e con cautela, fa capolino nella mia stanza e io, ormai, sono lì ad aspettarlo anche se non lo do a vedere, mi sento un po' meglio.
Mi trasmette tranquillità e un pizzico di spensieratezza, cosa che non mi succedeva da molto tempo.

Però io sono un'anima distrutta, in frantumi, e niente e nessuno può e potrà mai aggiustarmi.
E tutta quella sua gioia di vivere, molte volte, mi manda fuori di testa.

Io voglio semplicemente essere lasciato in pace, voglio stare solo, voglio vivere come decido io.

Io mi fido solo di me stesso e, anche se un giorno ci ho provato a raccontargli qualcosa di me, poi non sono più riuscito a continuare.

Il problema sono i suoi occhi verdi e luminosi a farmi credere di poterci riuscire, prima o poi.
Non a caso sono verdi come la speranza.

Sbuffo tornando in me, stropicciandomi anche l'altro occhio e scuotendo la testa per aver fatto questi pensieri così stupidi e infantili.

Per Mario Serpa ormai non c'è via di fuga.

Sono destinato a rimanere spezzato per il resto dei miei giorni. E spero finiscano presto.

Mi guardo attorno decidendo cosa è meglio fare. Proseguire lungo questo corridoio o fare retromarcia e tornare nella mia stanza?
È la prima volta che esco da quelle quattro mura, se non per andare in mensa a mangiare, nonostante la fame scarseggi.

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