Capitolo Ventiquattro

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CAPITOLO VENTIQUATTRO

Mario

20 novembre

Scalcio un sassolino, senza prestare attenzione a dove va a finire, mentre aspetto. Le mani nelle tasche dei jeans, il giubbotto abbottonato fino al collo.
L'aria fresca di quasi fine novembre inizia farsi sentire e io, freddoloso come sono, ne risento già. Alzo la testa al cielo e una distesa di nuvole bianche e all'apparenza soffici mi si para davanti agli occhi. Qualche debole raggio solare filtra attraverso loro rendendo l'atmosfera meno cupa e triste.

A me è sempre piaciuto guardare il cielo.

Da piccolo pensavo che se l'avessi guardato a lungo prima o poi mi sarebbero spuntate le ali per volare tra quelle stelle luminose e poter raggiungere il sole assieme agli uccellini, cinguettando felice assieme a loro nell'aria.

Poi un giorno mia mamma mi ha detto "smettila di guardare il cielo, altrimenti uno di questi giorni abbasserai gli occhi e ti accorgerai che sei volato via anche tu", ed è per questo che ho continuato a farlo. Sempre. Tutti i giorni.
Era quello che volevo, e me ne aveva appena dato la conferma anche lei.

Tuttora quando lo guardo sogno di poter volare via, di poter sorvolare prati verdi e fiori, tetti e case, mari e fiumi.

E come se il cielo avesse sentito il legame che ci univa, da quel giorno è diventato tutti i miei stati d'animo. Lo guardo e mi sento compreso, ascoltato, capito. E anche oggi è come me: non fa altro che trattenersi dal piangere, mascherando tutto con qualche raggio di sole.

Il rumore di passi sulla ghiaia mi riporta con i piedi per terra, costringendomi a puntare lo sguardo alla mia destra. Un paio di occhi verdi e lucenti mi stanno venendo incontro e, alla vista di Claudio che mi affianca con un sorriso sincero e smagliante e due cioccolate calde tra le mani, mi rendo conto che forse pure il cielo invidia qualcosa a me. Sì, perchè ho qualcosa accanto che è più bello di tutte le sue stelle e della luna di notte, o del sole, o della pioggia, degli uragani e persino dei temporali.

"Andiamo a sederci in una panchina al parco qui di fronte?", mi chiede passandomi una delle due bevande e facendo subito dopo un sorso dalla sua.
Lo ringrazio con un gesto della testa e annuisco alla sua domanda.

Questa mattina ho fatto alcuni controlli, test e colloqui con gli operatori della comunità, compresi dottori e psicologi vari, per valutare il mio stato ed avanzamento nella cura. Nel complesso, il mio quadro generale risulta essere notevolmente migliorato sia in termini di amore verso me stesso sia in termini di maturità, responsabilità e forza. Sono tutti molto contenti del mio percorso e il signor Aleotti, il direttore, è venuto a congratularsi per i miei passi in avanti da gigante e a premiarmi con un'uscita in più per questa settimana.
Inutile dire che Claudio ha preso al balzo l'occasione e mi ha trascinato fuori dalla mia stanza appena l'ha saputo.

Sorseggio la mia cioccolata sentendo il calore partire dalle mani ed invadermi tutto il corpo riscaldandomi e rilassando i miei muscoli irrigiditi. "È buonissima", gli dico dopo qualche attimo di silenzio, mentre ci sediamo davanti ad un'altalena vuota, "Ma tu hai tutta la bocca sporca!", gli faccio notare ridendo, avvicinando il mio pollice alle sue labbra per pulirlo. Poi lo metto nella mia bocca e lecco via i residui di cioccolato di Claudio. Lui alza gli occhi al cielo e "Sei un provocatore nato, Mario!", mi riprende fingendosi scocciato, "Io ci provo a mantenere le promesse, ma se tu fai queste cose davanti ai miei occhi mi rendi tutto molto più difficile". Sorrido con le labbra appoggiate alla tazza di carta prima di prenderne un altro goccio.

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