Capitolo Diciotto

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CAPITOLO DICIOTTO

Mario

7 novembre

Apro distrattamente l'armadio e, sbadigliando, afferro una felpa nera e un paio di jeans a caso. Mi posiziono davanti allo specchio e, mentre mi sfilo la maglietta del pigiama, ripenso a quanto successo ieri pomeriggio, come ho fatto ininterrottamente per tutta la sera e poi tutta la notte.

Mi stacco prepotentemente da quell'incastro così imperfetto di labbra, spingendo Giacomo per le spalle. "Jake, che fai?", gli chiedo sconvolto da quel bacio inaspettato, passandomi un braccio sulla bocca come a voler levare ogni segno del suo passaggio.
"Suvvia Mà! Siamo amici, neanche un bacio ti posso dare? Non te la sarai mica presa?, mi domanda dandomi una gomitata scherzosa. Sospiro, chiedendomi se, ancora una volta, sono solo io il problema. Quante persone ho baciato e da quante mi sono fatto baciare? Quante persone mi sono scopato in questi anni? Tante, troppe. Cosa sarà mai un semplice bacio in più? È uno come un altro, uno come tanti. Dov'è il problema?
Fingo un sorriso e "ma no dai, non me l'aspettavo, tutto qua. Però non ci si bacia tra amici...", gli ricordo, "o, per lo meno, io non lo faccio!". Poi mi ricordo ciò che ha affermato prima di farlo e continuo: "comunque Claudio non è un coglione solo perché non gli piaccio", lo difendo per l'ennesima volta davanti a Giacomo, neanche avesse offeso me in prima persona, "mica possiamo piacere a tutti quelli che piacciono a noi", mormoro infastidito.
"Lo so Mario, per esempio tu mi piaci ma io non piaccio a te", dice come se fosse la cosa più semplice ed ovvia del mondo. Sgrano gli occhi e "che cosa?!", chiedo allarmato. Possibile che non mi sia reso conto di niente in questo periodo? "Mamma mia Mà!", inizia a ridere come un pazzo, "dovresti vedere la tua faccia! Epica!". Lo guardo cercando di capire cosa ci sia di così divertente dietro una rivelazione del genere. Ma poi me lo spiega lui "stavo scherzando! Fare scherzi a te è davvero esilarante!", dice continuando a ridere come un forsennato. "E scusa se ti ho lasciato un piccolo bacio a fior di labbra, io con i miei amici lo faccio, è un segno di affetto per me".
E allora mi lascio andare ad un piccolo sorriso anch'io.
Scherzava.
"Che bello vedervi ridere di gusto!", una voce, La voce!, interrompe il momento. Mi giro di scatto verso quel suono e Claudio sta lì, fermo, appoggiato allo stipite della porta, mentre osserva la scena a braccia conserte. Un dio greco in tutto il suo splendore. "Salve", lo saluta Giacomo dandomi una lieve spinta ironica prima di sussurrare "oh guarda chi si vede! Il tuo amore!". Mi giro rapido verso di lui fulminandolo con lo sguardo, prima di salutare a mia volta il mio educatore. Claudio si avvicina e prende posto nel divano accanto al nostro. "Allora, cosa mi raccontate? Cosa stavate facendo di bello?", chiede ingenuo. Grazie a Dio è arrivato qualche attimo dopo quel bacio. Non dovrebbe interessarmi, in fin dei conti io e lui non siamo niente, ma non voglio che sottovaluti i miei sentimenti per lui. Non sa cosa provo, è vero, ma non voglio nemmeno che Claudio pensi che mi bastano un paio di labbra qualsiasi per star bene. Non voglio che pensi a me come uno che va con tutti, come uno che non sa resistere di fronte al sesso maschile. Come uno che si accontenta. Come uno che non sa tenerselo nelle mutande. Non mi sarebbe nemmeno interessato il fatto che avrebbe potuto dirlo al direttore, anche se so che non l'avrebbe mai fatto anche per il semplice fatto di far parte in primis di questo gioco sporco; l'unica cosa che mi sarebbe interessata sarebbe stata quello che avrebbe potuto pensare di me. Di uno come me.
Vacillo davanti a quei pensieri, davanti ai suoi occhi verdi che mi scrutano, davanti al suo sorriso grande che illumina la stanza.
"Niente, io e Mà stavamo parlando di un libro che ho letto in questi giorni", prende parola Giacomo, resosi conto del fatto che io non sarei riuscito a pronunciare nemmeno mezza frase. A quell'affermazione Claudio storce il naso, e non capisco il perché. Ma poi, come se non fosse mai successo quel rapido cambio di espressione, torna il suo sorriso sereno e sincero. "Forte", inizia infatti, "ti piace leggere? È una cosa che io amo fare!", dice rivolgendosi sorridente a Giacomo. E quasi voglio prendere quest'ultimo per il colletto del maglioncino rosso che porta addosso e scaraventarlo giù da questo divano, cosicché Claudio rivolga la sua attenzione solo ed esclusivamente a me. Il mio, tra virgolette, "amico", annuisce e poi si gira verso di me, prendendomi una mano tra la sua e dicendo "dopo lo porto a lui, così lo legge". Ritraggo subito la mia mano dalla sua presa, scocciato, mentre poso il mio sguardo su Claudio che tiene fissi i suoi occhi nel punto in cui le nostre mani si sono unite. Poi torna in sé, si schiarisce la voce e "ottimo, così poi me lo racconta", gli dice apatico prima di voltarsi verso di me: "domani usciamo. Tutto il giorno. Fatti trovare pronto per le dieci, ok?", dice addolcendo il tono di voce alla fine.
Annuisco e lo seguo con lo sguardo mentre si avvia alla porta per uscire dal salotto comune. "Io... devo andare", dico al ragazzo seduto accanto a me, "ci vediamo a cena".
Raggiungo Claudio fuori di lì e lo affianco lungo il corridoio. Rimaniamo in silenzio qualche istante e poi "non abbiamo incontri oggi?" gli chiedo stranito. "No", mi risponde semplicemente. "No? Non ci vediamo da una settimana!", gli ricordo. "Lo so Mario. Ma devo incontrare la nuova arrivata e fare un sacco di altre cose. Non mi hanno dato spazio per te, oggi, nella tabella giornaliera. In compenso domani non ci sono per nessun altro.", mi spiega. Poi sospira e smette di camminare: "passo a salutarti prima di andar via, d'accordo?", mi accontenta alla fine, per non lasciare che la delusione prenda il sopravvento su di me. "Ti aspetto", sussurro prima di dirigermi nella mia camera.

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