Capitolo Dodici

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CAPITOLO DODICI

Mario

21 ottobre

Osservo Claudio dalle fessure tra le mie dita che ho davanti agli occhi, mentre fingo di dormire.

Ero così quando ha bussato alla porta, un po' di tempo fa: con le mani davanti al viso per coprirmi dalla luce del sole che filtrava attraverso la finestra, non avendo voglia di alzarmi per abbassare un po' la tapparella.

Così ho deciso di rimanere in questa posizione, di non muovermi di un millimetro, di non fare un sospiro di troppo, per poterlo finalmente guardare per minuti interi senza essere visto.

Mi mancava così tanto poterlo guardare nei suoi particolari, nei suoi gesti abitudinari, nei suoi movimenti, che quasi mi esplode il cuore dalla felicità nel poterli rivedere.

E mi manca così tanto pure lui.
Perché anche se non mi lascia solo neanche un giorno, io continuo a non riuscire a sbloccarmi.

Per un po' ha addirittura provato a ripagarmi con la mia stessa moneta: il silenzio. Ma non ho ceduto lo stesso.

Il suo rifiuto è ancora vivo e fresco in me come una ferita aperta che non vuole rimarginarsi da sola e aspetta l'intervento di un medico. Per questo non riesco a demolire il mio muro d'orgoglio: ci sono rimasto troppo male e non permetterò più di farmi vedere ancora fragile come creta tra le sue mani.

Improvvisamente si alza dalla sedia in cui si era seduto a visionare dei documenti e dalla quale l'ho osservato nella sua espressione seria, con il cipiglio sul volto, con le labbra semiaperte impegnato nel suo lavoro. Bello come il sole. Si avvicina al letto ed io istintivamente chiudo gli occhi per paura che possa vedermi sveglio e possa capire che lo sto ammirando in silenzio da più di un'ora.

Sento le molle del materasso cigolare e la sua presenza nel letto. Apro appena un occhio per cercare di capire cosa stia facendo ma trovo la sua schiena a pochi centimetri dal mio viso ad oscurarmi la visuale, mentre lui è piegato leggermente in avanti. In questo modo la sua camicia azzurra si è lievemente alzata, lasciando scoperto un lembo di pelle, quello appena sopra alla fine del jeans chiaro che porta e che gli fascia in maniera impeccabile le gambe muscolose e il suo bellissimo e sodo fondoschiena.

Oddio, quanto vorrei lasciare una scia di baci umidi e caldi su quello strato di pelle. E anche più su. E anche più giù.

Oddio, cosa vorrei farti, Claudio.
Fidati di me.

Solo quando lo vedo alzare le gambe e stenderle vicine alle mie mi rendo conto che, in quella posizione che mi ha fatto fantasticare tanto, si stava semplicemente togliendo le scarpe. E poi scivola giù, sempre più in basso, e si stende completamente accanto a me poggiando su un fianco per riuscire a starci in due in questa piccola branda.

Richiudo gli occhi e, senza rendermene conto, trattengo il fiato mentre sento le sue dita intrecciarsi ai miei capelli, tirarli, giocarci, stringerli.
E lo trattengo ancora di più, se possibile, quando sento il suo volto sul mio, il suo naso ad annusare la mia pelle e a strofinarsi con delicatezza sulle mie mani pressate ancora sugli occhi.

Non sento più niente: lascio tutto fuori.

Lascio il mondo fuori.

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