Capitolo Tredici 2.0

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CAPITOLO TREDICI
seconda parte

Claudio


"Adesso basta Mario!", dico dopo averlo spinto con forza contro la porta della sua stanza, incurante di potergli far male.

Geme al contatto improvviso e inaspettato con la parete alle sue spalle, mentre punta i suoi occhi spaventati e liquidi nei miei furiosi.

"Clà..", sussurra con voce tremolante ma io ormai non ci sto più: non ci casco più, non mi faccio prendere in giro più. Non sono il burattino nelle mani di nessuno: devo riprendermi la mia autorevolezza e soprattutto il rispetto che mi merito.

"Clà un cazzo Mario!", urlo per poi rendermi conto di non poter alzare la voce per non far intervenire terze persone. "Clà un cazzo!", ripeto a bassa voce, stringendo con ancora più energia le mie dita attorno al suo polso fino.

"Ti sembra normale il tuo comportamento? Ti sembra corretto sprecare tutti questi giorni così? Ti sembra giusto trattare così il tuo educatore, prenderti gioco dell'impegno che ci mette per aiutarti quotidianamente?", gli dico a denti stretti, sbattendo poi un pugno a pochi centimetri dal suo viso impaurito.

Lui mi guarda con gli occhi pieni di lacrime, spaventato, tremante, ma non mi interessa più. Non mi interessa più niente in questo momento, troppo accecato dalla rabbia che è finalmente esplosa dopo settimane e settimane di sopportazione.

Sono arrivato al limite.

"Clà ti prego", prova di nuovo lui, chiudendo gli occhi, ma "no Mario, devi rispondere a sta roba! Non è che devi star zitto!", inveisco a qualche centimetro dal suo viso.

"No", mi risponde allora, in un soffio.

"No cosa, Mario? Dillo!", lo presso, infilando le mie unghie nella sua pelle fina e morbida.

Lui mi guarda implorante ed intimorito per qualche istante, poi sposta lo sguardo in basso verso il suo polso sinistro e una lacrima scappa al suo controllo. Chiudo gli occhi per non lasciarmi addolcire ed intenerire da quella goccia, ma quando sento la sua voce flebile dire "Cl-Clà.. Claudio.. mi fai male", apro gli occhi di scatto e stacco la mia mano da lui, rendendomi conto di aver stretto davvero troppo la presa attorno alla zona appena sopra la sua mano, al punto da avergli lasciato inciso il segno delle mie dita.

Rimaniamo a scrutarci in silenzio per una manciata di secondi, l'uno di fronte all'altro, incapaci di scusarci a vicenda, finché Mario non prende la parola.

"Sei arrabbiato con me?", mi chiede lentamente, massaggiandosi la pelle del braccio, senza riuscire a mantenere il mio sguardo per più di due secondi di fila.

"Sono furioso, che è diverso!", gli faccio sapere con un tono di voce leggermente più alto, sbattendo nuovamente il pugno accanto alla sua testa, per sottolineare come la mia sopportazione sia ormai giunta al capolinea.

Annuisce abbassando la testa e asciugandosi quelle due o tre lacrime solitarie che non è riuscito a trattenere.
"No.. non è giusto", mi risponde alla fine alle domande che gli avevo posto poco prima.

"Guardami quando mi parli!", mi scaglio, ancora una volta, contro di lui in maniera agitata e rabbiosa, prendendogli il mento tra le dita e alzandoglielo con prepotenza nella mia direzione. Ma lui tiene gli occhi stretti al punto che gli si vengono a creare delle rughe in ogni angolo di viso, mentre trema sotto di me. Ha paura.

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