Capitolo Ventisette

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CAPITOLO VENTISETTE

Claudio

23 novembre

Il cielo grigio ricoperto di nuvoloni scuri non promette bene. Im realtà, penso che tra un po' inizierà a piovere. E un po' mi senti così anch'io: buio, giù, spento.

Mi decido finalmente ad uscire dalla mia auto e, dopo aver preso un gran respiro, entro.

Questa comunità è casa mia. Ci vivo qui. Con queste persone, in questi spazi, tra questi odori. È ciò che ho sempre desiderato ed è ciò che dopo tanti sacrifici ho raggiunto.

Mi guardo attorto con un sorriso amaro sulle labbra mentre ispiro a fondo i profumi mischiati impregnati su questi muri che accompagnano le mie giornate. Magari sto esagerando, è vero, ma mi manca già tutto questo.

Con un'ultima occhiata alle stanze comuni mi dirigo al piano superiore, raggiungendo la stanza di Mario. È l'ora del riposto post pranzo quindi sono quasi certo di trovarlo qui.

E infatti è così.

"Hey", lo saluto richiudendomi la porta alle spalle.

"Hey", mi sorride lui. "Come mai qui a quest'ora?".

"Devo parlarti. Tu come stai, piuttosto?", gli domando avvicinandomi a trascinandomi dietro una delle sedie presenti nella stanza per portarla vicina al letto dove si trova steso lui a leggere.

"Meglio", dice guardandomi dolcemente, "puoi sederti qui accanto a me, se ti va", continua spostandosi per farmi posto.

"Casomai dopo. Ora devo parlarti", gli ricordo mangiucchiandomi un'unghia.

"Giusto... Ah, a proposito! Devo dirti una cosa anche io!", esclama poi felice, richiudendo il libro e appoggiandolo nel comodino accanto.

"Inizia tu, allora, dai!", lo incoraggio prendendogli una mano e stringendola tra la mia, rivolgendogli un grande sorriso che, a quanto pare, lo convince subito. So già cosa vuole dirmi.

"Questa mattina ho fatto altri controlli, visite e test. Sono andati tutti bene! Poi il signor Aleotti mi ha chiamato nel suo studio per parlarmi, abbiamo trascorso assieme quasi un'ora e alla fine mi ha detto che se anche nelle prossime settimane otterrò questi risultati potrò uscire per Natale!", mi dice entusiasta, con gli occhi luminosi e un sorriso stampato sul volto. E, Dio, è così bello vederlo felice che solo ora mi rendo conto di quanto sia giusto ciò che ho fatto. "Ha detto che dovrò venire qui una volta a settimana per qualche tempo, in modo da avere una continuità del lavoro svolto, ma che il mio percorso qui dentro è praticamente concluso. Quello che potevate fare per la mia dipendenza l'avete fatto, ora ho altri problemi da risolvere e sono sicuro che tu mi aiuterai anche al di fuori", conclude contento ma con un accenno di preoccupazione nelle ultime parole.

"Certo Mario", lo rassicuro subito, "io ci sono, lo sai. Sono felicissimo per te", gli dico afferrandogli piano il collo e avvicinandomelo al petto per abbracciarlo. Mario non se lo fa ripetere due volte e in un secondo me lo ritrovo spalmato addosso: le sue braccia strette attorno al mio busto, il suo mento appoggiato alla mia spalla.

"Lo sapevi già, vero?", mi sussurra ad un orecchio ridacchiando.

"Ovvio! Ti ricordo che sono pur sempre il tuo educatore", gli richiamo alla mente i nostri ruoli, mordendogli un'orecchio scherzosamente. "Ciò non toglie che io sia davvero, davvero, davvero, contento ed orgoglioso di te. Dico sul serio, Mario. Mi rendi... fiero", ammetto ad alta voce i miei pensieri. "Talmente fiero da... non essere più il tuo educatore", decido di rivelarglielo così, su due piedi, senza tanti giri di parole.

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