Capitolo Sei

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CAPITOLO SEI

Mario

25 settembre

"Ho detto che dovete chiamare Claudio!" urlo in preda all'agitazione più totale.

Mi guardo intorno spaesato, con il cuore a mille. Il senso di nausea che avanza, la testa che gira.

"Mario, calmati, abbassa il tono di voce! È notte e lui ha fatto il turno giornaliero, lo sai! Non possiamo chiamarlo per dei tuoi capricci!", cerca di dirmi, per la ventesima volta, una di queste persone che lavorano qui.
Non mi interessa sapere chi è o quale ruolo ricopre. Potrebbe essere anche il fondatore di questa comunità, io continuerei ad insistere per ottenere ciò di cui ho bisogno.

All'ennesima risposta negativa da parte sua, il mio respiro si fa sempre più irregolare.
Spalanco la porta della mia camera e inizio a camminare a passo spedito nel corridoio, inseguito da quell'uomo.
"Dovete chiamare Claudio!", inizio a sbraitare, "Se non lo chiamate voi, lo chiamo io! Datemi un telefono!" inizio a sbattere i pugni quando arrivo davanti alla porta della stanza del personale.
L'uomo alle mie spalle continua a parlare ma non lo ascolto.

Qualcuno apre la porta, chiedendo cosa ci sia da urlare nel pieno della notte. Chi mi trovo davanti, però, è l'amico di Giovanni, il mio capo. Mi guarda stupito, con un sopracciglio alzato, e "Mario! Cosa succede?" mi chiede.

La testa mi gira vorticosamente e traballo lievemente in avanti. Il direttore mi sorregge e mi dice di calmarmi e respirare a fondo. Ma io non lo ascolto, "ho bisogno di Claudio, subito", dico invece a voce alta, "la prego", sussurro infine guardandolo dritto negli occhi, tremando.


*


Il direttore, nonché responsabile del personale, mi guarda in silenzio, seduto su una delle sedie presenti nella mia stanza.

Io continuo a camminare su e giù, agitato, irrequieto, sudato. Ogni tanto gli domando l'ora ma, in realtà, è sempre passato solo qualche minuto rispetto alla volta precedente in cui gliel'ho chiesta.

"Ma quanto ci mette?", domando ansioso.

Poi qualcuno bussa piano alla porta. Arresto i miei passi, trattengo il fiato e, finalmente, dietro di essa spunta Claudio. Entra, saluta il suo capo e poi si gira a guardarmi. "Cosa succede?", chiede guardando entrambi, prima me e poi il direttore.

Vorrei tanto andare ad abbracciarlo.
Guardami, sono qui.

Deglutisco rumorosamente.
Inizio a tremare un'altra volta.

Per cercare di smettere, riprendo a camminare avanti e indietro, alimentando, però, così, di nuovo il senso di nausea.

"Penso te lo spiegherà lui, vi lascio soli", dice il suo capo. "Domani ne parliamo", gli sento sussurrare a Claudio prima di andar via.

Sbuffo e, quando sento la porta chiudersi, mi giro a guardarlo.

"Claudio, ho bisogno di una dose, ti prego. Devi aiutarmi", lo imploro avvicinandomi.

"Mario, cosa stai dicendo?" mi guarda sconvolto.

"Non ce la faccio più", urlo ad un passo da lui, "ne ho bisogno, solo così riuscivo a stare bene, lo capisci?", prendo un lembo della sua maglietta tra le mani, stringendolo con forza per fargli capire quanto io ne abbia bisogno.

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