Capitolo Sedici

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CAPITOLO SEDICI

Claudio

29 ottobre

Mi stiracchio appena, cercando di non fare movimenti bruschi o rumori, per sgranchire i muscoli assopiti dalla posizione assunta nel corso della notte. Slaccio le mie gambe dall'intreccio creato la sera precedente dall'uomo sdraiato davanti a me, cercando di riacquisire la sensibilità dei miei arti.

Senza nemmeno darmi il tempo di compiere completamente questa azione, inconsapevolmente, nel sonno, Mario si avvinghia al mio braccio: si stringe a me come se senza un contatto diretto, pelle contro pelle, si sentisse perso.

Il suo respiro calmo e caldo si infrange sul mio collo mentre dorme pacifico, i capelli che gli ricadono sulla fronte e sugli occhi, le labbra leggermente aperte, un'espressione serena e rilassata sul volto.

Lo osservo da vicino mentre i primi raggi solari gli colpiscono il volto, illuminandolo e dandogli un colorito molto simile a quello di un'alba.
L'alba è il primo chiarore del giorno, un po' come Mario che, in tutte le sue sfaccettature e con tutte le sue difficoltà, dona luce e colore alla vita di chi lo incontra fin dal primo istante. Come l'inizio di una giornata.
E chi non se ne rende conto, non sa cosa si perde.

Chi lo ha ferito e lo ferisce, è semplicemente invidioso di quello che era e di quel che è. Perché anche se si presenta come un'anima in pena, un'anima distrutta, a pezzi, un'anima nera, una persona cupa, negativa, problematica, sola e scostante, fredda, brusca e scontrosa, in realtà è la persona più dolce e buona che abbia mai conosciuto. E detesto chi l'ha ferito a tal punto, al punto da distruggergli il giorno, la notte, il sonno, la vita.
E forse l'ho capito tardi anche io quanto sia nobile la sua anima, perché pure io, a mio modo, l'ho ferito in questi due mesi.
E non se lo merita.

È semplicemente un ragazzo che ha perso tanto, nella vita, un ragazzo che ha sempre dato e mai ricevuto; un ragazzo che ha perso la sua felicità, inquinato dalla vicinanza di persone per lui tossiche, che l'hanno ferito e cambiato, portandolo ad annullarsi e a smettere di vivere. A desiderare la morte.
Un brivido mi attraversa da capo a piedi al solo pensiero.

Per questo ha bisogno di essere aiutato anche da altri operatori, oltre a me. Io da solo posso aiutarlo fino ad un certo punto, ma non posso diventare il suo tutto. E deve capirlo prima che sia troppo tardi.

Ecco perché sono felice abbia accettato di consultare lo psicologo: me l'ha promesso e so che lo farà. Ho capito che non sa più dirmi di no, e non so se sia un bene o meno.
In questo caso, però, lo è.

E ho capito anche che, ormai, facciamo fatica a resisterci quando oltrepassiamo una determinata soglia di distanza.
Ma d'altronde l'avevo già detto che è come se un filo ci legasse.
Per questo, ieri sera, contro ogni mio principio e aspettativa (o forse no...), quando mi ha chiesto un bacio, in quel modo dolce e bisognoso, non ho saputo negarglielo. Così come non ho saputo negargli nemmeno il secondo e il terzo e il quarto e il decimo e il centesimo. Siamo rimasti così, stesi, a baciarci piano, senza fretta, senza secondo fini. A scambiarci emozioni e a scambiarci la vita.
Ad incrociarci le mani, le dita, le gambe, i piedi, le esistenze.

E poi si è addormentato così: con le sue gambe sulle mie, stringendomi forte tra le sue braccia esili, infreddolito, cercando calore dal mio corpo coperto dalla trapunta stesa sopra di noi.

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