Capitolo Undici

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CAPITOLO UNDICI

Claudio

14 ottobre

La conosci la leggenda del filo rosso, Mario?

Ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra, che lo lega alla proprio anima gemella. Io non so se siamo anime gemelle: non credo, non penso, non so. Ci conosciamo da così poco che mi viene difficile anche solo pensarla possibile una cosa del genere. Ma di una cosa sono certo: qualcosa ci lega.
Magari non è un filo rosso. Magari è semplicemente un filo bianco, che comprende in sé tutti i colori dello spettro luminoso e che esprime fiducia nel futuro, nelle persone, nel mondo. O magari è un filo nero, o verde, o blu.  Non lo so. Però qualcosa c'è.

Non la senti anche tu, Mario?
Non la senti la forza di questo filo che, ogni volta che uno dei due prova ad allontanarsi, ci porta a riavvicinarci?

Non lo senti anche tu che se ci perdiamo, io non ti perdo e tu non mi perdi mai del tutto?

Perché va così: alla fine l'elastico, quando arriva al limite dello strappo, non si spezza ma, anzi, reagisce e con un colpo solo, violento, fa ritrovare le persone faccia a faccia. 

Forse con noi questo spago non è ancora arrivato al suo livello massimo. Tu continui a voltarmi le spalle, ma io lo sento tirare.
E sta proprio qui la differenza tra me e te, nel fatto che io mi sono già girato, perché non ho bisogno di giungere al limite oltre al quale la corda si potrebbe rompere.
E no, Mario, con me la corda non si spezzerebbe comunque mai. Al massimo si annoda, si stringe e si rafforza ancora di più.
Tu invece - questo ormai l'ho capito perché sei un libro aperto - fai dieci passi più in là ogni volta che succede qualcosa. E per recuperarli, poi, hai bisogno di camminare ancora un po', fino a rimbalzare indietro sotto il peso e il vigore dell'elastico.
Ma poi torni. E lo so io ma anche te. Anzi, tu lo sai sicuramente più di me: te lo leggo nel cuore che hai al posto degli occhi.

Quindi, Mario, quando mi permetterai di continuare a leggerti senza dover tirare gli occhi fin laggiù?

Lo so che, questa volta, la colpa è mia.
Lo so che ti sei sentito umiliato e respinto.
Lo so che ti sei sentito abbandonato di nuovo.
Ma perché non provi a capire anche me?
Perché solo io devo comprendere i tuoi errori, i tuoi silenzi, i tuoi sbalzi d'umore, mentre tu non puoi semplicemente renderti conto di quanto sia difficile la mia posizione e di quanto sia sbagliato il modo in cui le cose stanno andando tra di noi?

Io il tuo educatore e tu il mio educando.

Forse ci siamo semplicemente incontrati nel momento giusto ma nel posto sbagliato.

Perché non lo capisci?

Sbuffo, mentre sposto lo sguardo su di lui seduto davanti alla finestra in silenzio.
Ieri ha finalmente deciso di accorciarsi la barba e tagliare un po' i capelli e, Dio, è ancora più bello. Ogni volta che i miei occhi si posano su di lui mi rendo conto di quanto possa essere incantevole il fascino umano. Il suo viso è in totale armonia con il suo corpo: equilibrato, intrigante, attraente, perfetto. E il mio viso, invece, son sicuro, si tinge di un tenue rosso ogni volta che la sua bellezza mi si schiaffeggia dritta in faccia.

Lo osservo di sottecchi mentre sto seduto alla scrivania della sua stanza, a cercare di unire i pezzi del foglio che ben due settimane fa le sue dita affusolate hanno strappato ma che ancora non avevano trovato il coraggio di gettare nel cestino.

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