Capitolo Dieci

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A Claudio e Mario,

che possiate sempre essere,
l'uno per l'altro,
come l'oceano
che si rifiuta di smettere di baciare
la sua costa,
non importa quante volte
sia stato mandato via.

Otto mesi.

•••

CAPITOLO DIECI

Mario

7 ottobre

Un uomo robusto poggia allo stipite della porta con le braccia conserte. Il volto non è riconoscibile: non ha occhi, non ha naso, non ha bocca. Però si riesce a scorgere ugualmente la sua espressione accigliata e allo stesso tempo soddisfatta.
Un bambino, poco più in là, siede a terra con le gambe incrociate mentre guarda la tv. Si percepisce il suo disagio, il suo imbarazzo. Ogni tanto si volta a guardare l'uomo con occhi grandi e sbarrati, mentre quest'ultimo lo invita a proseguire con la visione del video.
Le immagini sono sfuocate ma si nota chiaramente essere il cartone animato "Aladdin". Qualcosa, però, va storto rispetto alla versione originale.
Lacrime sgorgano dagli occhi del bambino mentre si poggia le piccole manine davanti agli occhi e l'uomo gli si avvicina spostandogliele e obbligandolo a guardare davanti a sé. "Non ti preoccupare, è normale, è così che vanno le cose; ora guarda!", cerca di rassicurarlo l'uomo senza volto, tradito però da un tono di voce che non ammette repliche.

Ansia, dolore, una fitta al petto.
L'impotenza di non poter aiutare quel bambino. L'impotenza di non poterlo portare via da quel mostro travestito da uomo.

Il bambino prova a rifiutare di proseguire con la visione del cartone ma, subito, viene zittito da quell'orco che lo afferra per entrambe le piccole braccia magre e minute, strattonandolo e scuotendolo da parte a parte, per poi lasciare un segno della sua presenza sulla sua gamba con un calcio: dritto, forte, diretto.

"Guarda come fanno i grandi, senza frignare!", impone al piccolo che, al contrario, non smette di piangere dolorante nel corpo e nell'anima. "Va tutto bene, non stiamo facendo niente di male. È giusto così, fidati di me. Lo so che ti fidi", gli sorride meschino.
Il bambino annuisce appena, incerto, mentre le lacrime continuano a scendere inconsolabili dai suoi occhietti scuri come la pece.

Obbligato, riporta la sua attenzione sullo schermo posizionato davanti a sé mentre l'uomo fa ripartire la proiezione da dove l'avevano interrotta. Le immagini, questa volta, sono un po' più riconoscibili mentre il cartone continua nella sua versione alternativa. Cè Aladdin ma non è solo. C'è anche Jasmine. E sta facendo delle cose che il bambino, sopraffatto dalla giusta spensieratezza dei suoi cinque anni, non comprende e non dovrebbe conoscere. Di nuovo, cerca di non guardare posizionandosi le manine sugli occhi. "Voglio tornare a casa mia", dice tra un singhiozzo e un altro, "chiama il mio papà, lui mi viene a prendere se lo chiami, voglio che gli telefoni", piange il più piccolo.
Ma il mostro non demorde: "se gli racconti qualcosa.. il tuo papà muore, lo sai?", e mentre il viso del bimbo si contorce dal dolore provocatogli da quelle parole, "e se lo racconti a qualcuno, a chiunque, in generale, i tuoi familiari non ti vorranno più bene", continua.
"È il nostro segreto, capito? Altrimenti succede quello che ti ho appena detto", gli spiega l'uomo che, improvvisamente, acquisisce un volto. E il bambino urla.

L'urlo assordante del sogno riesce a svegliarmi e a catapultarmi nella realtà, mentre, con uno scatto fulmineo, mi metto a sedere sul letto, con il busto leggermente piegato in avanti, una mano sul petto, il fiato corto e la gola che brucia.

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