Capitolo Diciassette

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La vita è bella,
amala anche per chi ha avuto
troppo poco tempo per viverla.
❤️

•••

CAPITOLO DICIASSETTE

Mario

6 novembre

Fisso la porta davanti ai miei occhi.
Imponente, maestosa, grande.
O forse è una porta come tutte le altre.
Sì, probabilmente lo è.

Ma a me il solo fatto di doverci entrare incute timore e, per questo, forse, il mio io interiore la rende ai miei occhi più importante di quello che, in realtà, è.

Prendo un gran respiro e alzo il braccio, facendo poggiare le nocche della mia mano destra su quella superficie di legno scuro, battendo piano, forse con la speranza di non farmi udire.

Attendo qualche attimo prima di sentire una voce impostata ma allo stesso tempo invitante chiedermi di entrare.

A fatica abbasso la maniglia e, con sguardo rivolto al pavimento, mi appresto a muovere qualche passo in avanti all'interno di questa nuova stanza, prima di richiudermi la porta alle spalle.

"Buongiorno", mi accoglie la voce, "prego, venga a sedersi qui davanti a me".

Mi avvicino titubante alla scrivania e con il cuore che va a settemila mi siedo davanti all'uomo. Prendo fiato e alzo gli occhi nella sua direzione. Un uomo sulla quarantina siede in maniera composta con le braccia appoggiate allo scrittoio, circondato da libri, fogli, penne, colori. È un bell'uomo, mi concedo di pensare, ma non è Claudio.
La stanza è piccola ma tutto sommato ordinata; le pareti bianche sono anonime ma adornate da una scritta dipinta alla parete dietro di lui.

Sono stato un uomo fortunato:
nella vita niente mi è stato facile.
-
Sigmund Freud

Leggo e rileggo quella frase e, cazzo, sembra messa lì per me. Ma davvero dovrei reputarmi fortunato per la vita di merda che ho fatto fino a questo momento? Quante cazzate sono obbligato a sentire e quante ancora dovrò ascoltarne all'interno di queste quattro mura?

"Lei sa cos'altro diceva Freud?", mi prende contropiede, "Che gli uomini vivono, generalmente, il proprio presente con una certa ingenuità. E, diceva, questo porta a non saper mai giungere a valorarne esattamente il contenuto", mi dice interrompendo così del tutto il mio flusso di pensieri.

Lo guardo confuso, non riuscendo a capire dove vuole andare a parare.

"Come ti chiami e quanti anni hai? Inizio a darti del tu visto che sei molto giovane, che ne dici?", mi chiede dopo qualche attimo di silenzio.

"Mario, 25", mi limito a rispondere.

"Ok Mario. Innanzitutto piacere, sono il dottor Massimiliano Sommo, lo psicologo della comunità. Quello che volevo comunicarti attraverso le parole di colui che ha fondato la psicoanalisi è che, molte volte, senza nemmeno rendercene conto, ci soffermiamo sugli aspetti negativi della vita senza cogliere gli insegnamenti di questi momento bui. Non sappiamo valorizzare il bello e il brutto della nostra esistenza perché pecchiamo di ingenuità. Il nostro più grande tesoro è il presente perché il passato esiste solo nella nostra mente e il futuro deve ancora venire. Tuttavia, ci è difficile vivere nell'hic et nunc, nel qui ed ora, perché o siamo troppo preoccupati per il futuro o continuiamo a mantenerci occupati rimproverandoci il passato. Questo atteggiamento ingenuo ci fa trascurare il nostro dono più grande: la capacità di godere appieno del presente.
Ma talvolta anche il nero può trasformarsi in bianco, basta volerlo. Ecco perché Freud si riteneva un uomo fortunato ad aver incontrato difficoltà nel corso della sua vita: le complicanze aiutano a crescere, a maturare, a cambiare, a migliorare. Solo nelle avversità possiamo farlo. Se tu sei qui è perché da queste problematiche vuoi rinascere, quindi già la pensi un po' come lui, non trovi? Siete più simili di quanto ti immagini, forse!", mi lascia a bocca aperta lui.

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