Capitolo 11:

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Lauren:
"Operazione... coma farmacologico... trauma... bisogna aspettare... andate a casa... vi chiameremo..."
Queste sono le uniche parole che ricordo del discorso che ha fatto la dottoressa pochi minuti fa.
Sono in macchina con Brian e Kate, non so nemmeno perché mia nonna non sia con noi. Sono in uno stato di shock tale da non capire praticamente niente. Le uniche cose che ho capito e sulle quali non ci piove, sono che mia mamma è in coma ed ha subito un intervento duro e lungo per colpa di mio padre.
Di sicuro i traumi di cui parlava prima la dottoressa sono stati causati da mio padre, durante uno dei loro innumerevoli litigi, in cui lui non perde mai l'occasione di picchiarla.
Solo che, a differenza degli altri, questo litigio è finito malissimo. Tanto male che mia madre è in ospedale tra la vita e la morte. Quel lurido verme di mio padre non si è neanche fatto vivo. Non so né dove sia né cosa stia facendo in questo momento, ma di una cosa sono certa, io non voglio più avere niente a che fare con lui. Non voglio sentire nemmeno una sola maledetta parola uscire da quella bocca, né tantomeno incrociare quegli occhi che ormai non riconosco più.

Brian posteggia, scende dalla macchina e mi aiuta a raggiungere la porta di casa. Non sono solo instabile mentalmente ma anche fisicamente.
Entro e, solo dopo essermi guardata in giro, capisco che non è né casa mia né casa di Brian.
È bellissima, arredata in modo antico ma lussuoso. Noto subito due enormi lampadari appesi al soffitto dell'ingresso, che sparano luce nei miei occhi stanchi e intorpiditi. Okay che sono in stato confusionale ma io qua dentro non ci ho mai messo piede, ne sono sicura, due lampadari così costosi posso averli visti solo alla televisione.
"Questa è casa mia. I miei genitori non ci sono e possiamo stare un po' qua. Sempre volete." Dice Kate cercando di interrompere il silenzio pesante che si è accumulato da quando la dottoressa ci ha parlato.
"Per me va benissimo. Lauren, preferisci che ti porti a casa tua o da qualche altra parte?" Chiede gentilmente Brian ed io faccio cenno di no con la testa. Non sono psicologicamente pronta ad entrare in quella casa, che ormai non sento nemmeno più mia. No no no no no, assolutamente no. Pensare di essere sotto lo stesso tetto in cui quel verme di mio padre vive, facendo finta di amarci mi fa rabbrividire.
"Mh perfetto allora, avete fame? Penso proprio di sì dato che nessuno di noi mangia almeno da un giorno, preparo qualcosa!" Esclama Kate recandosi immediatamente in cucina.
Sono così gentili con me,Brian e Kate sono stati al mio fianco quindici ore all'ospedale, solo perché sapevano che io stavo morendo dentro. Sono stati lì, nello stesso punto, senza scollarsi da me un attimo, confortandomi continuamente.
Quando starò meglio ringrazierò entrambi e cercherò di sdebitarmi con loro.
Momentaneamente mi sento leggermente meglio perché, se ho capito bene, l'operazione di mia mamma è andata a buon fine. Per ora mi piace pensarla così e non ho la forza per chiedere se sia vero o meno. Mi godo la bellezza dell'ignoranza.
"Sei sicura di voler stare qui? Sennò ti porto da qualche altra parte." Sussurra Brian quando Kate è dall'altra parte della casa.
"Stiamo qua." Rispondo io decisa accennando un sorriso, per non sembrare troppo dura. Queste sono le uniche due parole che ho pronunciato nelle ultime ore.

Dopo la cena mi reco subito nella stanza degli ospiti per riposare un po', lasciando soli Brian e Kate.
Brian si è offerto di dormire sul divano in modo da lasciare la stanza degli ospiti tutta per me, ed io ho accettato subito. Anche se cercherò di dormire le lacrime scenderanno comunque e non voglio farlo stare in pensiero durante le sue poche ore di sonno. Deve riposare, ha già fatto troppo come suo solito.
Provo a dormire ma non riesco. Sono stanca, quello sì, a dir poco esausta, ma è come se nel mio cervello ci fosse un'allarme a ricordarmi che mia madre è in pericolo. Ogni volta che sono sul punto di cedere al sonno, l'allarme suona facendomi vivere da sveglia l'incubo più grande.
Vorrei almeno riuscire a pensare a qualcosa che non sia mia mamma, il coma e tutta questa storia, ma non vi riesco. Come sempre, se una cosa va storta, io devo pensarci e ripensarci finché non mi sento soffocare.
Così tra il "pensare al coma" e il "pensare alla mamma nel modo più positivo possibile" ho preferito la seconda opzione.
Nella mia mente iniziano a riaffiorare tutti i ricordi più belli con lei. Uno dei tanti è il giorno del matrimonio. Lei e mio padre si sono sposati quando io avevo cinque anni, ma lo ricordo come fosse ieri: l'agitazione di mia mamma pochi secondi prima di andare all'altare, i mesi passati a ordinare gli addobbi per la casa e i fiori per la chiesa, i milioni di negozi visitati alla ricerca dell'abito "perfetto" ,che non si trovava mai e infine, quello più bello di tutti, la felicità di mia mamma quando disse "sì". Il sorriso sulle sue labbra è difficile da dimenticare. Un sorriso pieno d'amore, convito di aver trovato l'amore, quello vero, quello che resiste a tutto, quello semplicemente infinito. Tutti pensavano lo stesso, o per lo meno lo speravano. Ma così non è stato.
Da quando ho iniziato a comunicare i sentimenti che provo tutto è andato a rotoli, in un crescendo di litigi, pianti, schiaffi... che hanno portato mia mamma ora in quel maledetto lettino d'ospedale.
Lei non merita tutto questo. Lei merita il meglio, in tutto. Ma, secondo me, ciò che meriterebbe di più, è quello coniugale, quello che adesso sta crollando in mille pezzi. Merita un marito che la ami e che non le faccia del male, mai e per motivo alcuno.
Ad un certo punto i brutti ricordi sovrastano quelli belli e le lacrime iniziano a scendere. Beh almeno ho resistito un'ora senza piangere, progressi.
Per levarmi quelle brutte immagini dalla testa cerco, anche se per poco, di dimenticare mio padre e mi dedico al rapporto tra me e mia madre.
Lei con me è sempre stata semplicemente unica. Lei, per difendermi, continua a subire e subire senza mai lamentarsi. L'ho già sentita dire a mio padre frasi del genere "no, non farle del male, non insultarla, fallo a me piuttosto." e quel verme lo faceva, eccome se lo faceva.
Lei è quella persona pronta a rinunciare a tutto per me.
Lei ha deciso di non sporgere alcuna denuncia di violenza, solo perché altrimenti non avrei mai più potuto vedere mio padre.
Vorrei diventare una donna forte e fantastica proprio come lei, nonché una madre esattamente brava come lei, fiera di essere con i miei figli come era mia madre con me. Non essendo etero, diventare madre per me è un tantino più complesso, ma la speranza di riuscire ad averne uno e accudirlo con una donna che mi ama rimane. Rimane nel profondo perché, se continuo così, sarà a dir poco impossibile.
Pensando a quanto sarebbe quello riuscire a diventare madre, mi addormento.

Vengo svegliata dal "drinnnnn" del mio telefono, appena prendo coscienza rispondo, senza leggere il nome scritto su display.
"Lauren sono la nonna, venite appena potete all'ospedale."
"C-che succede?!"
"Non lo so, so solo che mi hanno chiamata dicendo di recarsi immediatamente all'ospedale."
Butto immediatamente giù il telefono e mi precipito a chiamare Brian e Kate.
Sono le quattro del mattino, spero che il futuro ci riservi buone notizie.

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