18. Guerra aperta!

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Terminata la prima mattinata di lavoro come collaboratrice, tornai a casa soddisfatta e con la testa piena di nuove idee. Avevo ricevuto tantissimi complimenti per l'abito, i clienti erano affascinati dal modello e io mi sentivo lusingata e stimolata a dare il meglio di me. Volevo approfittare dei pomeriggi liberi per dedicarmi alle mie creazioni. Desideravo disegnare e cucire nuovi abiti da esporre.

Entrai nella mia camera pronta a tirar fuori la mia cartellina e i colori, ma quello che vidi all'entrata mi lasciò disorientata. Che ci faceva lui sul mio letto? Quando si voltò a guardarmi realizzai finalmente tutto...

«Tu... tu sei Mathieu?»

Alzò un sopracciglio e il suo sguardo impenetrabile mi squadrò da cima a fondo.

«Così sembra. Mi spieghi cosa ci fanno le tue cose e un coniglio impaurito nella mia camera?»

Gli lanciai un'occhiata perplessa. Daphne corse a nascondersi dietro i miei piedi, chissà da quanto tempo stava aspettando il mio ritorno. Mi abbassai per prenderla in braccio, di solito quando c'erano estranei fuggiva sotto al letto, ma in quel momento era occupato dallo stesso ragazzo del bus: ovvero il figlio di Louise.

Non potevo crederci. Era da circa una settimana che fissavo le sue foto incorniciate, eppure non l'avevo riconosciuto. I lineamenti morbidi del suo viso erano diventati più squadrati, a formare una sorta di rettangolo immaginario. I capelli da castani erano divenuti neri. Il naso piccolo, del bambino in foto, era decisamente molto più pronunciato, anche troppo, pareva un'altra persona.

«Quindi tu già sapevi chi ero, per quello mi lasciavi il posto libero in bus» constatai, sentendomi una stupida, avrei dovuto capirlo prima...

Sorrise beffandosi della sottoscritta. Con una mano mi coprii esasperata la fronte, sì, ero stata proprio una stupida a pensare che uno sconosciuto si interessasse realmente a me.

«Brava! Hai indovinato! Il tuo viso è identico a quello della bambina che ho conosciuto anni fa, mi è bastato uno sguardo per ricordarmi di te, non sei cambiata di una virgola. Ora rispondi alla mia domanda: cosa ci fanno le tue cose nella mia stanza?»

D'accordo, forse i tratti del mio viso erano rimasti immutati, ma doveva avere gravi problemi di vista per paragonarmi a quella bambina.

«Punto primo: non sono più come allora, sono cambiata. Punto secondo: puoi chiedere a tua madre delucidazioni sulla mia presenza in casa.» Accarezzai la fronte di Daphne per tranquillizzarla. Tutta la gentilezza che aveva mostrato quei giorni in autobus era reale o voleva solo burlarsi di me?

«Va bene, va bene, ora sei una donna, contenta?» mi prese in giro, per poi tornare serio. «Ascolta, mi dispiace deluderti e non so quali patti ci siano tra te e mia madre, ma non intendo dormire nello stesso letto con te.»

Sospirai esterrefatta, come poteva anche solo lontanamente pensare che volessi dividere il letto con lui?

«Tu sei fuori di testa. Non dormirei con te nemmeno se mi pagassero!»

Al diavolo le buone maniere, mi stava trattando come se fossi una "ladra". Ero timida e spesso impacciata, ma non mi sarei fatta mettere i piedi in testa dal primo che mi capitava sotto tiro, specialmente da lui. Avevamo un conto in sospeso: da piccolo si era mostrato ostile nei miei riguardi, mettendomi spesso a disagio, perché glielo avevo permesso, ma adesso doveva rispettarmi se voleva interagire con me.

«Il mio era sarcasmo, non voglio condividere il letto con te, tranquilla. Trovati quindi una nuova sistemazione e un posto dove depositare le tue cose e quel coniglio fifone.»

Mi stava facendo davvero infuriare, forse aveva ragione, ma c'erano modi e modi di esprimere un concetto e lui lo stava facendo in maniera pessima.

«Tu non vivi nel dormitorio? Cosa ci fai qui?» Abbassò gli occhi a terra, restando per alcuni secondi in silenzio.

La Ragazza che cuciva sogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora