21. Una nuova settimana lavorativa

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Dopo la visita del mio amico, mi sentivo come rigenerata, mi aveva fatto bene parlare con lui dei nostri sentimenti, cercare di recuperare il tempo perso. Raccontai la giornata trascorsa con Steven e quello che stava accadendo tra di noi anche a Louise e Yvonne. Mi ascoltarono entrambe con attenzione e Louise mi consigliò di approfittare della distanza per riflettere su ciò che provavo.

Con Mathieu invece il rapporto continuò a essere teso. In apparenza non mostrava interesse nei miei riguardi, non voleva conoscermi, mi trattava con sufficienza, non voleva scusarsi e sinceramente ne avevo abbastanza delle sue occhiatacce. Con i suoi genitori faceva lo stesso, avevo notato in lui la stessa indole solitaria di Nathan. Se ne stava sempre chiuso nello studio e, quando non si trovava in quella stanza, usciva di casa assentandosi per ore. Era ambiguo, soprattutto con me, innalzava muri alti e spessi con tutti, impedendoci di comprenderlo.

Arrivò il lunedì mattina, mi svegliai con un gran mal di testa e con i piedi infreddoliti, l'autunno iniziava a farsi sentire

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Arrivò il lunedì mattina, mi svegliai con un gran mal di testa e con i piedi infreddoliti, l'autunno iniziava a farsi sentire. Coccolai per un po' la mia coniglietta, poi entrambe scendemmo le scale per andare a fare colazione. Erano presenti sia Louise e sia Nathan, Yvonne era all'università e Mathieu era uscito presto. In quel momento mi ricordai di un dettaglio che avevo tralasciato: perché le mattine precedenti il figlio di Louise aveva preso l'autobus a Brooklyn, se il suo dormitorio stava a Manhattan? Forse quel dettaglio era collegato all'espulsione? C'era qualcosa che non quadrava, ma decisi di tenermi quei sospetti per me.

Terminata la colazione, mi vestii in fretta, indossai un vestitino color borgogna cucito qualche mese prima. Era un modello semplice, calzava largo e le maniche lunghe erano allegramente bordate con volant di un tessuto trasparente dalla fantasia floreale. Mi stava davvero bene, metteva in risalto la mia figura snella, donandomi un po' di colore.

Quando salii sull'autobus, il mio sguardo ricercò subito quello di Mathieu. Era seduto al solito posto, con il viso rivolto verso la strada: ostinato a ignorarmi. Senza pensarci, attraversai il corridoio e mi avvicinai a lui.

«Posso sedermi?» chiesi titubante, i suoi occhi scuri incrociarono i miei; se avesse potuto fulminarmi ci sarebbe riuscito alla grande.

Spostò il suo zaino per farmi spazio. Avrei tanto voluto chiedergli il perché dei suoi viaggi mattutini tra Brooklyn e Manhattan, ma decisi di non parlare, in fondo non erano affari che mi riguardavano.

«Non intendo diventare tuo amico» sbottò all'improvviso, cercando comunque di mantenere un tono pacato.

«Nessuno ti sta chiedendo di diventare mio amico.»

Alzò un sopracciglio e mi fissò con perplessità.

«E allora perché hai voluto sederti accanto a me? Non ero antipatico?»

«Perché dovrei provare antipatia nei tuoi confronti?»

Sorrise stizzito e spostò di nuovo i suoi occhi sulla strada.

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