26. Ispirazione ribelle

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«Allora, Belle, hai voglia di cucirmi su misura un abito da sera?»

Di fronte a una richiesta del genere cosa avrei potuto rispondere? Rifiutare sarebbe stato stupido. Gettare all'aria un'occasione del genere era insensato e, anche se dentro di me avevo una paura terribile di fallire, di deludere Michaela e soprattutto Norah, mi ritrovai comunque ad accettare. Lo stavo facendo per il mio sogno, era per lui che lottavo ed era per lui che mi stavo spingendo oltre i limiti, le mie insicurezze, il senso di inadeguatezza.

Quando tornai a casa quel pomeriggio, presi il book dei bozzetti e iniziai a tracciare le prime linee. Michaela aveva le idee ben chiare, io un po' meno. Mi aveva espresso con decisione il desiderio di indossare un abito raffinato, dalle note romantiche e adatto al suo fisico.

Disegnare un modello con quelle caratteristiche non era mai stato un problema per me, ma stranamente quel giorno non riuscivo a trovare la giusta ispirazione.

Disegnai e ridisegnai diversi bozzetti, alcuni erano talmente scadenti da costringermi a strapparli e gettarli via furiosamente. Ero tesa, ok, ma quello era il mio lavoro e dovevo fare tutto il possibile per portare a compimento il vestito.

All'ennesimo disegno fatto male, sbuffai e chiusi il book esasperata, la mia fantasia era bloccata dalla paura. Una lacrima involontaria scivolò sulle mie labbra; era da immaturi piangere e rammaricarsi, ma non riuscivo a fare altro. La tensione mi aveva portato un forte mal di testa all'altezza degli occhi e della fronte.

Sprofondai nel letto esausta e dopo poco mi raggiunse anche Daphne, pronta a farsi coccolare dalla sua padrona. Era sempre stata molto empatica con me, quando mi vedeva stare male, cessava ogni sua attività per venirmi incontro con tutta la sua dolcezza.

Mi asciugai le lacrime e afferrai il telefono per chiamare casa. Avevo voglia di sentire la voce di mia madre, di sfogarmi con lei e ricevere un suo consiglio. Al quarto squillo udii la risata allegra di nonno Gerard, probabilmente la mamma era ancora in hotel.

«Pronto!»

«Ciao, nonno...»

«Ehi, piccolina, cos'è questo tono triste? L'ultima volta che ci siamo sentiti eri felice per il tuo lavoro.» Nonno Gerard riusciva a comprendere il mio umore anche da dietro una cornetta telefonica, assurdo.

«Sono ancora felice, ma oggi ho ricevuto una richiesta da parte dell'amica di Norah e non credo di essere capace di eseguirla.» Era la verità, per la prima volta dopo mesi di creatività, la mancanza di fantasia mi impediva di essere sicura di me.

«Belle, sei sempre la solita. Quante volte devo dirti che hai un gran talento e devi credere nelle tue potenzialità? Se non sei tu la prima a farlo, nessuno potrà crederci per te.» Aveva incredibilmente ragione, eppure io non riuscivo a essere ottimista.

«Lo so, nonno, ma non è semplice. Mi è stato commissionato un vestito su misura per un evento importante. L'amica della mia titolare è la direttrice di una nota rivista di moda, capisci? Se sbaglio anche solo un dettaglio, nel progetto, è la fine!» Udii il nonno protestare dall'altra parte del telefono e non aveva tutti i torti.

«Belle, è una notizia bellissima, dovresti gioire per questa opportunità. E poi, ragazza mia, tutti i successi derivano da fallimenti, non esiste persona a questo mondo che non abbia sbagliato almeno una volta nella vita. Mettiamo il caso che il vestito sarà largo o troppo corto, questo non ti impedisce di trovare una soluzione per sistemarlo, e se farà schifo? Dovrai andare avanti, Belle, anche se comporterà tante delusioni. Non sarà mai la fine, sei tu a decidere del tuo futuro, non altre persone. Tu sei la padrona del tuo destino.»

Le parole del nonno mi arrivarono dritte al cuore, erano così vere e piene di fiducia da spingermi a riprendere in mano il bozzetto. Quella chiamata mi aveva fatto proprio bene, mi sentivo meglio e più positiva.

La Ragazza che cuciva sogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora