Dopo settimane trascorse a lavorare, finalmente arrivò il fatidico giorno della prova del vestito di Michaela. Era quasi tutto pronto, bisognava solo misurarlo per sistemare eventuali difetti e applicare modifiche personalizzate.
Nonostante fossi sicura del mio impegno nel creare l'abito, c'era una parte di me che non riuscivo a tranquillizzare. Mi sentivo tesa e sull'orlo di una crisi di nervi. Quelle settimane di duro lavoro avevano consumato tutte le mie energie mentali, così come la consapevolezza di avere il cuore sottosopra. Più passavano i giorni e più mi rendevo conto di quanto fosse incoerente nutrire dei sentimenti sia per Mathieu sia per Steven.
Ero a New York per lavorare, per realizzare i miei sogni, eppure stavo completamente perdendo la voglia di fare, di disegnare e cucire vestiti. L'amore era una terribile distrazione dal mio obiettivo principale e non potevo far finta di nulla.
Quando Michaela entrò nel negozio, con il suo solito sorriso allegro, feci un respiro profondo e mi preparai psicologicamente per la prova del vestito. Io e Norah ci scambiammo uno sguardo d'incoraggiamento reciproco, quella non era un'opportunità solo per me, ma anche e soprattutto per la sartoria.
«Eccoci qui...» esordii fiduciosa, ammirando il vestito un'ultima volta prima di consegnarlo a una Michaela trepidante.
«Quando ci sarà l'evento di beneficenza?» domandò Norah, mentre la sua amica provava l'abito in camerino.
«Esattamente tra cinque giorni!» Guardai prima Norah e poi il calendario. Avrei dovuto fare molte ore di straordinari per poter finire l'abito in tempo.
L'amica della mia datrice di lavoro uscì dal camerino con un'espressione pensierosa, il vestito era piuttosto largo e lungo. Mi morsi il labbro inferiore e pazientemente indossai il cuscinetto con gli spilli.
«A quanto pare sono dimagrita di parecchio in questo periodo!» esclamò Michaela cercando di smorzare la tensione.
Norah si avvicinò a me sorridendomi e con un linguaggio tutto nostro mi comunicò con gli occhi di restare tranquilla. Insieme prendemmo le misure sul corpo a clessidra di Michaela; io mi occupai della larghezza e la mia datrice della lunghezza. Averla vicina mi dava un senso di sicurezza e protezione. Sapevo di poter contare sul suo aiuto e questa cosa mi rendeva fiduciosa.
«Beh, direi di effettuare un'altra prova prima del completamento del vestito, tu che ne dici, Belle?»
Annuii alla domanda del mio capo e così fissammo un altro appuntamento con Michaela. La donna che avevo di fronte si mostrò gentile e accomodante, pronta a misurare l'abito un'ulteriore volta, ma il fatto che non avesse espresso nessuna opinione, non mi faceva sentire per nulla serena.
Quando andò via, Norah mi invitò a seguirla nella seconda stanza e in silenzio iniziò a preparare del caffè. Cercai di decifrare il suo sguardo: era stanco e preoccupato, ma non sembrava nervosa.
«Belle, dobbiamo parlare...»
Mi raggiunse sul divano con due tazze fumanti. Avevo sbagliato le misure e questo era un errore da non commettere con un cliente prestigioso come Michaela, probabilmente voleva discutere proprio del vestito.
«Mi dispiace» dichiarai, sorseggiando un goccio di caffè.
«Lo so, quando Michaela ha misurato il vestito, avevi lo sguardo terrorizzato e tremavi come una foglia. Capisco lo sconforto per aver calcolato male le misure, ma essere negativa non ti farà stare meglio.»
Norah aveva ragione. Ero stata una stupida a farmi soggiogare dall'ansia, avrei dovuto reagire diversamente e approfittare del suo aiuto per sistemare il vestito.
«Voi due avete riposto tante aspettative in me e io... vi ho deluse.»
Posò il caffè sul tavolo rivolgendomi un sorriso comprensivo.
«Non devi sentirti sotto pressione, non devi dimostrarci nulla. Nella vita capita tutti i giorni di compiere errori, ma non per questo bisogna abbattersi o fermarsi. Sai quante volte ho sbagliato? Tantissime e per ogni sbaglio commesso mi sono rafforzata e ho acquisito esperienza. Sarà così anche per te. So che adesso ti senti frustrata, che è dura e magari ti stai dando delle colpe che non hai, ma vedrai che riusciremo a risolvere. Cinque giorni potrebbero sembrare pochi, ma possiamo farcela.»
«Lo spero.» Abbassai lo sguardo a terra nel tentativo vano di non restare inerme, volevo combattere e non permettere alla tristezza di sopraffarmi.
«Ehi...» mormorò con dolcezza, i suoi occhi mi scrutarono a lungo. «Se hai bisogno di piangere, fallo. Non devi trattenerti con me, non ti giudicherò e non penserò che sei una ragazzina immatura, perché non sarebbe vero. Belle, se hai delle emozioni imprigionate qui dentro, tirale fuori, sfogati, urla se vuoi, ma non, non trattenerti. Non devi farlo.»
Le sue parole provocarono in me una reazione improvvisa, lacrime cocenti bagnarono i miei occhi e le guance. Tutte le sensazioni che avevo imprigionato dentro, come tante piccole spine taglienti, ora si stavano ribellando chiedendo libertà, una dopo l'altra...
«Ho paura» confessai con voce strozzata, Norah si avvicinò e mi circondò con le sue braccia esili e materne.
«Di cosa hai paura?»
Era difficile confidarsi con una donna che non fosse mia madre, era difficile accettare un abbraccio materno che non fosse quello di mia madre.
«Ho paura di non farcela, di non riuscire ad affrontare tutto questo da sola. Ho paura delle scelte che farò e di fallire, di avere dei rimpianti, di non poter più tornare indietro per sistemare le cose...»
Restò in silenzio ad ascoltare il mio sfogo, continuando ad abbracciarmi e ad accarezzarmi con la sua dolcezza e con la forza che solo una donna poteva possedere. Per un attimo mi sembrò di stare tra le braccia di mia madre e questo mi fece sentire meglio e più libera. Guardai l'anello con il fiorellino che mi aveva regalato e mi ricordai della nostra promessa: "Unite per sempre". Dovevo essere coraggiosa, dovevo farlo per entrambe.
«Grazie, Norah.»
Mi staccai timidamente da lei, asciugando il viso rigato.
«Per cosa?» Sorrise.
«Per il tuo supporto. Ne ho davvero bisogno.»
«Lo so, stai affrontando delle esperienze nuove e impegnative ed è normale accumulare dello stress, ma tutto passa, le paure i momenti difficili... si cambia, si cresce, si diventa più forti. Te lo dico perché ne so qualcosa, spesso ti guardo e mi ricordi la me diciottenne» rispose con tono triste e nostalgico. «Avevo anch'io paura, di qualsiasi cosa, anche della mia stessa ombra» disse l'ultima frase con ironia, ma il suo sguardo era serio.
«E come si cambia? Come si superano le paure?»
«Affrontandole, non conosco un trucco diverso. È difficile, lo so, ma più le eviti, più rischi di farle crescere e ti soffocheranno come stanno facendo adesso» affermò con sincerità.
«Già, è così che mi sento, come se mi stessero soffocando» sussurrai con un filo di voce.
«Non permetterglielo, reagisci e ricordati che puoi contare su di me» aggiunse, mostrandomi ancora una volta il suo sostegno. «Anche perché sei un po' come la figlia che ho sempre desiderato avere» mi rivelò.
Non risposi, mi limitai a sorridere, ma la sua affermazione mi fece riflettere. Io e Norah ci conoscevamo da poco tempo, spesso parlavamo di noi, dell'infanzia, dell'adolescenza, di amore, ma c'era un pezzo della sua vita che teneva custodito nel suo cuore. Potevo percepirlo dal suo sguardo malinconico e dalle parole non dette.
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La Ragazza che cuciva sogni
ChickLitCome spiegheresti a una bambina che suo padre non è un eroe, ma semplicemente è fuggito abbandonando lei e sua madre? Per otto anni quella bambina ha atteso invano il ritorno del suo eroe, credendo a una menzogna... Belle è una diciottenne tremend...