74. BENVENUTI A LOS ANGELES

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"BENVENUTI A LOS ANGELES"

Era arrivato il tanto atteso giorno per la partenza verso l'America. Ero gasata, agitata, nervosa, felicissima, ma d'altra parte avevo paura. Insomma, stavamo per partire con l'aereo e sarebbe potuto accadere di tutto, un guasto, un uragano, una tempesta... Perché tutto questo pessimismo?!
E la valigia... Per farla mi ci era voluta la consulenza di Brooke, non scherzavo, me l'aveva preparata lei data la mia costante indecisione. Per via del mio poco vestiario invernale, lei si era preoccupata a passarmi qualcosa di suo dato che al contrario in Australia avrebbe fatto caldo. Io che non sopportavo il freddo doveva andare al gelo, però in California la temperatura non doveva essere tanto diversa da Sydney. Sammy aveva sentito Jared il giorno prima e gli aveva detto che oltre ad esserci un buon tempo, sulle montagne a nord della città, ovvero le San Gabriel Mountains, c'era la neve, quindi avrei potuto passare per la prima volta un Natale coi fiocchi.

Che battuta de mierda.
Beh ci sta, a breve sarà Natale.
Questo non toglie il fatto che era una battuta de mierda.

Dopo i saluti dei ragazzi, i pianti di Brooke e le raccomandazioni di Xavier e dei nostri genitori, passammo ore ed ore in aereo. Per quasi tutto il viaggio avevamo dormito, eccetto all'inizio che, gasata come ero, spruzzavo felicità da tutti i pori. E come i bambini, consumando le mie energie mi ero appollaiata sulla spalla di Sammy, addormentandomi come un giro. Povero, gli saranno venute le formiche al braccio.

Arrivati a Los Angeles non si poteva non notare il cambiamento climatico e visivo. La città era leggermente coperta da soffici nuvole bianche, ma il sole splendeva e a contrasto c'erano le punte innevate. Quella vista era così bella che per tutto il tempo rimasi incollata al finestrino fino all'atterraggio. Era davvero meraviglioso, i grattacieli, le varie insegne al neon e le macchine che sfrecciavano nel traffico. Quella Los Angeles che vedevo sempre nei film era finalmente davanti ai miei occhi, era da non credere. Sam mi aveva sul serio portata in America, non sarei mai riuscita a sognarmela.

Usciti dal casino che caratterizzava gli aeroporti, e dovevo ammettere di aver avuto paura di perdere o le valigie o il mio fidanzato data la mia sbadataggine, potei constatare il clima mite che caratterizzava la California. Potevo adorare questo stato, niente freddo allucinante e niente vestiti troppo ingombranti.
Ad un tratto sentimmo una voce che mi sembrava di conoscere chiamare Sammy ad alto tono. Ci voltammo entrambi in quella direzione e notammo un ragazzo dai capelli lunghetti e mori con la sua immensa altezza. Era sicuramente Jared.

Analizzazione alla Brooke: secondo me è più di uno e novanta.
Sicuro. Ma perché tutti dovevano essere così alti? Non potevano essere più piccoli?
Mi sentivo una nana a stare in mezzo a questi giganti.

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