77. RAGGIO DI SOLE

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"RAGGIO DI SOLE"

Dopo una pausa di dieci minuti persi allo sbollire il mio imbarazzo per colpa di quei discorsi, tornai in cucina per finire il mio the, ma questo se lo era spazzolato via tutto Samuel.

«Sammy, ti sei bevuto il mio the!» lo rimproverai, alzando la tazza vuota e sbandierandola davanti agli occhi.

Appoggiando le braccia sul mobile, si stiracchiò come avrebbe fatto un gatto, per poi mettersi composto. «Ma se mi hai mandato via tu dal divano dicendomi che dovevo tornare qua. Colpa tua.»

Ero pronta per sbottare, ma sentendo suonare all'improvviso il campanello, raddrizzai le orecchie. Il mio ragazzo sembrava in fibrillazione nel pensare al cibo, assomigliava a un cane che scodinzola all'impazzata e sorrisi nell'immaginarmelo con una coda e le orecchiette. In pratica vivevo con un animale.

Caleb scese dal bancone su cui era seduto e andò ad aprire. «Ce ne hai messo di tempo, non dovrei nemmeno pagarti la consegna.»

«Ci scusi per il ritardo.»

«E spero che il cibo sia buono, se no ve lo faccio mangiare dopo averlo fatto andare a male» lo minacciò anche con lo sguardo e affacciandomi, notai l'espressione del ragazzo, impaurito come non mai da quegli occhi verdi.

«B-buon a-appetito» balbettò mentre il biondo tirò fuori il portafogli dalla tasca dei pantaloni.

Gli allungò una banconota e attese il resto, per poi sbattergli la porta in faccia. «Jad, se questo cibo farà schifo ti ammazzo.»

«A te piace il pesce, quindi il sushi non dovrebbe farti così ribrezzo» lo guardò male mettendo le bacchette sui tovaglioli.

Spalancai le palpebre alla notizia. «Oddio, il sushi!» esultai felice.

Era da molto tempo che non lo mangiavo e fortunatamente con noi non c'era Suwa, avrebbe potuto aspirare via tutto con il solo sguardo. Lui amava la qualsiasi cosa giapponese che esistesse.

«Non hai mai mangiato sushi?» domandò Samuel al biondo e quest'ultimo sbuffò, posando la busta sulla tavola.

«No, e allora? Ti cambia la vita saperlo?»

«Caleb, si può sapere perché devi essere sempre scontroso?» si aggregò il fratello, mettendo le ultime cose sulla tavola apparecchiata.

In parte mi mancavano questi piccoli gesti quotidiani, stando al Coral Reef praticamente era come viziarsi, appartamento pulito, posate e bicchieri già posizionati sulla tovaglia, cibo cucinato dallo staff. Era strano pensare che avrei voluto fare qualcosa, solitamente uno non si lamenterebbe nell'aver tutto già fatto e sistemato, Brooke me lo rinfacciava sempre, però mi mancava stare a casa, sentire da mamma che era pronto, lavare i piatti con mio fratello canticchiando le canzoni alla radio, battibeccare su chi dovesse spazzare a terra e sfidarci a carta, forbice e sasso... erano quelle cose che ti facevano sentire parte di una famiglia, quella collaborazione che ci faceva sentire uniti, che anche nel quotidiano potevamo contare l'uno sull'altro. Infatti quando eravamo stati a Darwin, stranamente ero felice di dover dare una mano in casa, di tornare a quei battibecchi e fare qualche risata. Era davvero bello stare in famiglia.

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