8.1 Luna oscurata

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Nicola sospirò, innalzando lo sguardo al cielo nero di quella sera. La luna gli sembrava morsa dal buio, che doveva aver intimorito persino le stelle: nessun astro riluceva nella volta. Non occorreva essere un sacerdote per comprendere che non si trattasse di un buon presagio.

Abbassò gli occhi verso il suo regno, guardando le luci ordinate dei lampioni, che indicavano le vie principali, e seguì la linea di una di queste che si perdeva verso la campagna, fuori da Mitreluvui. Un dispiaccio lo informava di strani movimenti al confine settentrionale, quello con il Loavi... dove si trovava Raissa.

Era convinto che l'Autunno fosse ancora lì: probabilmente attendeva solo il momento migliore per sferrare il suo attacco, quando le difese dello Cmune sarebbero state più penetrabili. E le sarebbe occorsa grande maestria nel trasportare l'esercito oltre la catena dei Tumroi di nascosto alle vedette. Nicola era certo dell'efficienza dei suoi soldati, oltre che della loro fedeltà: un recente colloquio con il capo dell'esercito l'aveva molto rassicurato. Le maniere di quell'uomo erano un po' rudi, ma non aveva scorto in lui nessuno dei segni che invece manifestava l'intera corte.

«Nicola... dunque sei qui... solo?» mormorò una dolce voce femminile alle sue spalle.

Il principe si voltò appena e scorse sua madre seguita da Altea, la sua più fidata cameriera, che sorreggeva un vassoio con due tazze e una teiera di porcellana dipinta con motivi floreali.

«Madre» la salutò lui, con distacco. Durante gli ultimi giorni, lei non era più uscita dalle sue stanza e lo aveva lasciato solo contro quella corte ostile che tanto avrebbe goduto nel vederlo cadere. Si era sentito abbandonato, come un condottiero che combatte senza esercito.

«Prendi del tè» gli suggerì la donna, splendida nel suo abito scuro, da lutto, ricamato con filamenti neri, che richiamavano l'orrore della morte. «Non può che farti bene.»

«Non è del tè che ho bisogno, credetemi» disse invece lui, apatico, seguitando a rimirare il panorama buio davanti a sé.

«Nicola...» sussurrò lei, con uno stranissimo tono di voce. Lo stava implorando, aveva pietà di lui e temeva per il destino di quell'unico figlio. «I cortigiani...»

«Sono delle teste vuote che non vedono l'ora che io commetta un errore» la interruppe lui, brusco. «Non ne commetterò: ho passato gli ultimi giorni completamente immerso nelle faccende del regno, ho ascoltato chi veniva a chiedere un aiuto alla corona, chi offriva i suoi consigli e sto facendo del mio meglio per capire cosa...»

Tacque, sentendo la mano della donna toccargli il braccio. Quel contatto fisico non era una novità: molte volte la regina lo aveva abbracciato e cullato come se quel ragazzo ormai divenuto uomo fosse ancora l'infante che aveva portato in grembo per mesi. Felicita lo scrutò con attenzione e distinse nel suo profilo severo la gravità di un sovrano conscio del proprio ruolo: Nicola era pronto a regnare.

«Non intendevo questo» pronunciò la donna con un tono di voce che giunse morbido alle orecchie del principe, come se gli stesse impartendo una lezione non severa. «Loro ti hanno tradito.»

«Cosa?»

Il giovane Lotnevi si riscosse e guardò la madre. Il cuore gli balzava nel petto e non riusciva a dominare la paura che repentina lo aveva avvolto. Aveva creduto quegli uomini insulsi capaci di qualsiasi cosa... ma come avrebbero potuto tradirlo? A chi si sarebbero affidati per la successione del regno? Non c'era nessuno nella linea di sangue che potesse prendere il suo posto. Che quegli strani movimenti al confine fossero a causa loro?

«Uno di loro ha fatto richiesta a Donna Cloe di convocare i Lupfo-Evoco» disse Felicita, grave. «Non so chi, ma non appena lo scoprirò, devo chiederti di condannarlo a morte.»

Selenia - Trono rovesciatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora