I sotterranei del palazzo erano freddi e umidi persino nei primi giorni d'estate. La guardia reale che guidava Giampiero tra quei cunicoli era silenziosa, ma visibilmente corrucciata: non avrebbe mai creduto di dover sorvegliare un Lotnevi prigioniero nella propria reggia. Il marchese lo seguiva altrettanto taciturno, riflettendo su come porsi con il principe, ma la sua mente era attraversata di continuo dal pensiero di Luciana, rinchiusa nello stesso luogo. Non aveva avuto il coraggio di domandare a Clara Riutorci di poter conferire anche con lei, perché forse i suoi sentimenti l'avrebbero smascherato e lui non poteva permettere che le proprie vicende personali interferissero con i suoi doveri.
La guardia si fermò e infilò il chiavistello in un lucchetto di ferro, che chiudeva le sbarre oltre cui si trovava Nicola Lotnevi.
«È già arrivato il momento?»
La voce del giovane sembrava implorante, come se non sopportasse più l'attesa e volesse che la morte ponesse fine alla sua agonia.
«Non ancora» rispose la guardia. «Qualcuno vuole parlare con voi.»
«Non voglio vedere nessuno...» si lamentò il principe.
«Mi dispiace, Altezza, ma non avete scelta.»
L'uomo fedele ai Lotnevi si scansò per permettere al Tirfusama di entrare nella cella. Nella penombra, illuminata fiocamente solo da alcune torce, Giampiero vide Nicola seduto sul pavimento a gambe incrociate, con il capo chino verso il basso.
La guardia richiuse la porta e si allontanò di qualche passo, in modo da permettere ai due nobili di parlare in privato.
«Chi siete?» domandò il prigioniero. Con quel buio era difficile distinguere i lineamenti altrui.
«Qualcuno che sta facendo di tutto per salvarvi» rispose il marchese. «Sono Giampiero Tirfusama.»
«Ah, sì, voi...» biascicò Nicola. «Se ci troviamo qui qualcosa è andato storto, non trovate?»
Rise, il principe, perché non gli restava altro da fare: credeva che non ci fosse più nulla che potesse tirarlo fuori da lì, nulla che non fosse la pubblica esecuzione che i cortigiani di Mitreluvui attendevano con trepidazione.
«Donna Clara mi ha permesso di parlare con voi, pensa che possiate...» Giampiero esitò: non era certo che le sue prossime parole fossero quelle giuste. «Lei ritiene che voi abbiate davvero ucciso vostro padre, e penso che mi abbia concesso di...»
«Non sono stato io» sussurrò il Lotnevi, abbassando lo sguardo.
«Lo so che non siete stato voi. Non avreste mai potuto.»
Nicola rise, di nuovo. «E come fate a esserne tanto convinto? Raissa mi avrebbe creduto davvero capace di farlo!»
Il marchese lo guardava incredulo. Respirò profondamente prima di parlare. «Io non sono Raissa, io credo in voi. Se avete l'affetto, la stima e l'amicizia di Flora, allora potrete sempre contare su di me.»
«Flora...» La sua risata si spense, la voce del principe si ridusse a un sussurro. «Luciana mi aveva detto che l'avrebbe portata qui, ma lei non c'è. Dicevano tutti che senza Flora sarei stato perduto e io sono stato uno stupido nel credere di potercela fare da solo. Rimpiango di non averle chiesto di venire qui e di far credere a tutti che il nostro matrimonio sarebbe stato imminente. Frottola più, frottola meno... per lei avrebbe fatto poca differenza. Ma io sarei stato vivo per molto tempo, nessuno avrebbe mai osato chiedere a Donna Clara di convocare i Lupfo-Evoco.»
«Lei non sarebbe venuta» disse invece Giampiero. «L'avrei fermata io.»
«Allora anche voi mi volete morto!» esclamò Nicola. Sollevò lo sguardo e i suoi occhi chiari si affermarono sofferenti in quelli dell'altro. «Avete mentito, non siete qui per salvarmi!»
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Selenia - Trono rovesciato
FantasiLIBRO I - COMPLETO «Agli Autunno piacciono gli scacchi» ribatté lei con dolcezza. «Si racconta di un loro avo che sfidava i condannati a morte a giocarci... se lo sconfiggevano avevano salva la vita. Viceversa... [...] Quella con Raissa è una par...