24.2 Una rete di illusioni

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Erik non era mai stato nel regno dell'Autunno, ma trovare Castelfango non fu difficile, nonostante la pioggia che aveva iniziato a battere sul suo capo da quando aveva varcato il confine con il Mare. A distanza regolare erano sistemate le indicazioni per giungere alla residenza reale, che lui era riuscito a leggere, anche se il cavallo, dopo un paio di ore sotto l'acqua aveva fretta di giungere a un posto riparato e asciugarsi.

Peves non avrebbe corso così tanto.

Ma ormai c'erano quasi. Erik non avrebbe saputo dire se fosse davvero il tramonto, perché quelle nubi scure che l'avevano accolto lì – e che non sembravano intenzionate a lasciarlo – impedivano che il sole le trafiggesse con solo uno dei suoi raggi.

Il castello degli Autunno sorgeva su una collinetta, circondata da un muro in pietra. Delle bandiere zuppe, che recavano quella foglia di quercia spezzata in due indicavano gli ingressi, ma erano talmente intrise di acqua e spinte dal vento da essersi avvolte sulle loro aste, che l'Inverno intravide a malapena. Spronò il cavallo sconosciuto e si avvicinò, distinguendo molto poco di quello che aveva intorno. Non sapeva se Raissa lo stava già attendendo, e non doveva fare altro che giungere dove lei gli aveva dato appuntamento, all'ingresso settentrionale, per avere una risposta.

Eppure, una minuscola parte di lui non voleva davvero arrivare. Voleva conoscere l'identità di chi aveva ucciso Guglielmo Lotnevi? Certo che lo voleva, era partito per il Pecama per sapere se si trattava di Ariel...

Ma quella scoperta a cosa l'avrebbe portato? Era pronto anche per scoprire se Iris aveva a che fare con la morte dei Dal Mare?

Non si portò una mano al petto solo perché altrimenti il destriero lo avrebbe disarcionato e sarebbe fuggito lontano, lasciandolo immerso nella fanghiglia autunnica. Tuttavia, il cuore gli saltò alla gola, battendo furiosamente. Ormai era lì, non poteva più tirarsi indietro.

Mise a tacere così i suoi pensieri e si concentrò nel tenere le redini del cavallo, che aveva iniziato a salire lungo il pendio. In alto, illuminata a malapena da una torcia e riparata da una tettoia, una figura era in piedi, in attesa. Quando Erik giunse fin lì, scrutò i suoi occhi scuri coperti dal cappuccio, su cui la pioggia si riversava irrispettosa.

Raissa Autunno gli sorrideva, in trionfo sotto quell'acquazzone.

«Il cavallo può aspettare qui» gli disse con voce melodica, mentre lui ne scendeva. Indicò un piccolo spazio ben riparato dal vento e dalla pioggia da un muricciolo in pietra. L'Inverno lasciò lì l'animale, pronto a seguirla all'interno, ma lei era ferma a contemplare il panorama davanti a sé.

«Guarda» gli consigliò con un sorriso trionfale dipinto sulle labbra, illuminate fiocamente.

E lui ubbidì, fissando assorto quella mescolanza di cielo e terra in cui i colori fangosi di quel regno si mescolavano l'ebbrezza delle nuvole. Qualche lampo illuminava di tanto in tanto un agglomerato di case, una boscaglia, la capitale, mentre le tinte del paesaggio si facevano sempre più fosche, come se la pioggia non attendesse altro che la notte per sprigionarsi con tutta la veemenza di cui era capace.

«Dai, ora andiamo.»

La sua voce non suonava imperiosa, come Erik si aspettava, ma gentile e delicata, quasi non volesse urtare l'illustre ospite. Lui si lasciò guidare attraverso l'ingresso e poi nel groviglio labirintico dei corridoi del castello. Camminava alle sue spalle con passo sicuro, stupendosi che non ci fosse nessuno in quel groviglio di quadri con personaggi antichi e di rifiniture dalle tonalità cupe e brillanti allo stesso tempo. Raissa doveva aver avuto l'accortezza di scegliere con cura un tragitto che li avrebbe condotti indisturbati dove voleva lei. Non si guardò intorno, rapito com'era dalla frenesia di conoscere una risposta ai suoi dubbi.

Selenia - Trono rovesciatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora