11.4 Partita a scacchi

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La locandiera del Sogno d'argento si muoveva con destrezza tra i tavoli, servendo gli avventori con le prelibatezze della cacciagione. Gli aromi delle vivande riempivano l'aria, facendo salire l'acquolina in bocca a coloro che erano ancora in attesa della propria cena. Il vino rosso era versato in calici di vetro, che tintinnavano l'uno contro l'altro, come se brindassero alla prosperità di un regno che invece stava per precipitare nella rovina. La condanna caduta sulla testa di Nicola Lotnevi era ancora sconosciuta al popolo, che aveva visto quell'adunanza di nobili come soccorso al principe inviso alla corte; niente di più lontano dalla realtà.

Eleonora si avvicinò, con un vassoio pieno di arrosto finemente tagliato, alla tavola che i De Ghiacci avevano scelto insieme ai loro ospiti. Servì la pietanza nei loro piatti in rigoroso silenzio, scambiando un sorriso gentile con il marchese, poi passò alle tavolate presso cui sedeva la scorta, composta di uomini silenziosi, ma che la riempivano di complimenti sulla qualità del cibo e del vino.

Giampiero sedeva taciturno, mentre Bianca e Roberto continuavano a discutere su quanto l'esito dei Lupfo-Evoco avrebbe condizionato le loro vite.

«A questo punto credo che sia meglio tornare a casa» stava dicendo la principessa De Ghiacci. «Se Raissa ha intenzione di espandersi, non ci penserà due volte prima di conquistare quante più terre può nel Pecama...»

«Se invece volesse fare come ha fatto con i Dal Mare?» le chiese Roberto. «Se lei non aspettasse altro che noi torniamo lì per ucciderci tutti?»

«Ariel e Dante si sono salvati» constatò Bianca. «Se avesse voluto spazzare via tutta la famiglia reale, non avrebbe avuto alcun ostacolo... Menta, cosa ne pensi?»

Lei posò delicatamente la forchetta nel piatto. Guardò il marchesino, che tuttavia sembrava immerso in una riflessione che gli altri due non avevano osato interrompere.

«Io...» tentennò. Nonostante la fiducia che la nobile riponeva in lei, ancora non si sentiva in grado di esprimere un'opinione su temi tanto delicati. «Penso che dovreste pensare a come tenere il vostro popolo al sicuro. Ma non saprei dirvi come farlo...»

«Già, il popolo» commentò il Tirfusama tra sé e sé. Anche se sapeva che gli altri attendevano con grande interesse il suo parere, lui non riusciva a smettere di pensare. A ogni preoccupazione se ne aggiungevano di nuove: aveva fallito l'incarico più importante che Alcina gli avesse mai assegnato, il principe Lotnevi era prigioniero nel suo stesso palazzo, così come anche Luciana... e il fatto che entrambi fossero figli unici avrebbe creato dei problemi con la successione dei loro regni. E a rimetterci sarebbero stati i loro popoli, che si sarebbero visti dapprima trascinati in un conflitto che non erano pronti ad affrontare, e che poi, una volta sconfitti, sarebbero stati depredati di tutto quello che possedevano. Se aveva compreso una cosa sugli Autunno – e su Raissa in particolare – era che loro non conoscevano la pietà.

Si stropicciò gli occhi e decise di mandare giù qualche boccone dell'arrosto che giaceva davanti a lui, ma la fatica per mangiare era più del ristoro che ne derivava. Soffriva e non sapeva come poter rimediare al proprio dolore.

«Marchese, siete tanto turbato...» disse Bianca.

Lui annuì sconfortato. «Donna Clara mi ha permesso di poter parlare da solo con Nicola, nella speranza che possa confidarmi qualcosa, qualcosa che tutti gli altri non sanno... O forse si aspetta la sua confessione, come gran parte dei presenti ai Lupfo-Evoco. Domani andrò da lui, ma non so cosa potrebbe rivelarmi.»

«Questi Lupfo-Evoco sono stati un fallimento» commentò Roberto. «Dovevamo proteggere Nicola e fermare Raissa e non siamo riusciti a fare né l'una né l'altra cosa. E io non ho intenzione di farmi ammazzare per tornare a casa!»

Selenia - Trono rovesciatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora