14.1 "Solo allontanandoci possiamo essere vicini"

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Claudio si sedette su un masso poco distante, mentre Flora e Arturo parlavano con il sacerdote della Luna. Si portò una mano al volto, mentre sentiva la vista venirgli meno: i contorni si facevano sfumati, scuri... e il dolore alle tempie farsi più forte. Quel dolore sconosciuto e senza nome.

Non è possibile... sono passati solo pochi giorni dall'ultima volta...

«Ti senti bene?» gli chiese la voce dolce di Stella, che lui percepì sedersi al suo fianco.

«È solo sonno» minimizzò, ma non scostò le dita dagli occhi, che aveva iniziato a massaggiarsi. Non era una completa bugia: Arturo e il turno di guardia lo avevano tenuto impegnato per buona parte delle ore di quella notte; il mercenario aveva suggerito di provare a usare la spada nel buio, proprio per esercitarsi in caso di un attacco a sorpresa. A suo dire, le precauzioni non erano mai abbastanza.

Attraverso le palpebre socchiuse gli arrivò la luce diurna e Claudio comprese di aver recuperato la vista; tuttavia il dolore quella volta non aveva portato con sé alcuna suggestione, né la voce sconosciuta, né le immagini che gli affollavano la mente in quelle situazioni. Qualsiasi cosa fosse, non era un semplice male; eppure non si sentiva di farne confidenza con nessuno. Per qualche tempo si era addirittura convinto che fosse stato maledetto, che le prime visioni gli fossero state inviate per confonderlo, ma poi aveva constatato che raramente si rifacevano a qualcosa che lui conosceva. Gli era capitato di vedere le vie di Nilerusa, della sua amata città dai tetti bassi, scene della quotidianità della capitale, mentre più spesso erano luoghi sconosciuti, volti a cui non avrebbe saputo mai dare un nome.

Nelle primissime ore del viaggio verso il Pecama si era chiesto se avrebbe mai incontrato qualcuno di quei visi, se il suo destino avrebbe mai potuto incrociare quelli che quei malesseri lo portavano a vedere.

Aprì gli occhi, e scorse la sua amica e il mercenario intenti a parlare con un sacerdote affiancato da una sacerdotessa; lui giovane, forse appena adolescente, lei più in avanti con gli anni, come dimostravano le rughe sul collo. Entrambi abbigliati con quella strana tunica bianca ricamata in grigio, che gli sembrava tanto diversa da quella scura indossata al tempio di Nuvola.

Flora era preoccupata, aveva l'aria di essere sul punto di spezzarsi e di cadere a terra come un ramoscello. Gli abiti maschili in cui si era calata non la nascondevano del tutto e lui si chiese come fosse possibile che ancora nessuno si fosse accorto che si trattava di lei; forse era perché era sempre stata vista con i capelli sciolti o con acconciature elaborate, come si confaceva a una giovane di quel lignaggio. O forse, concluse, era la sua magia a proteggerla.

E con quell'ultimo pensiero nella sua mente si formulò un'ipotesi allettante.

«Stella» disse, chiamando per nome la principessa Estate, come lei gli aveva espressamente chiesto. «Ma... le profezie... come venivano trasmesse?»

La fanciulla abbassò il cappuccio sottile del mantello da viaggio; lei sì che rischiava di essere riconosciuta. Con la mano si coprì meglio gli occhi azzurri, di un colore quasi accecante per l'intensità, e sussurrò: «Sono scritte in libri rilegati, pensavo che l'avessi capito.»

Claudio sospirò. «Non intendevo questo. Chi le ha scritte... Come le riceveva? C'era qualcuno che suggeriva le parole? Vedeva qualcosa e lo metteva per iscritto?»

Le labbra sottili dell'Estate si piegarono in un sorriso. «Con me ho portato un antico manoscritto di uno degli ultimi Veggenti; si chiamano così coloro che hanno scritto le profezie. Ho letto solo alcune pagine, ma penso che parli anche del modo in cui ricevevano le visioni.»

Selenia - Trono rovesciatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora