17.2 Quei due

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Arturo raccolse la sua spada da terra. Solo al terzo tentativo, la principessa Estate era riuscita a disarmarlo; molto meglio di quanto fosse riuscito a fare Claudio fino a quel momento.

Restituì l'arma a Stella, e si rimise in posizione, in attesa di un suo assalto. Se Flora aveva considerato una fortuna il fatto che al tempio possedessero gli strumenti per combattere, lui non ne era rimasto sorpreso: sapeva bene che persino in quei luoghi potevano capitare eventi spiacevoli. Non aveva mai assistito a un assalto in un luogo sacro, ma era giusto che persino i sacerdoti si preparassero a quell'eventualità. Conosceva Raissa e sapeva che non sarebbe stata la devozione religiosa a fermarla; dacché lei non ne possedeva.

Il mercenario si chiese se lei, appena diventata regina di Ruxuna, avrebbe fatto abbattere tutti i templi e la maestosa basilica che sorgeva nel cuore della sua capitale, ma qualcosa gli diceva che non si sarebbe spinta a tanto. Almeno, non laddove le fossero stati utili.

Stella si fece più ardita nei suoi attacchi e lo disarmò di nuovo.

«Non sei concentrato» disse, accusatoria. «Non mi serve saper imparare se tu hai la testa altrove.»

«Fa parte della lezione» ribattè lui, inespressivo. Non la biasimava: avevano deciso insieme che le avrebbe insegnato a duellare e comprendeva il fastidio che poteva provare a un mancato rispetto degli accordi; anche se solo apparente. «Se nella tua testa lasci entrare qualcosa che non c'entra nulla con la spada e il tuo nemico, è molto probabile che venga uccisa.»

Lei si bloccò, immobile. Gli stava porgendo il ferro scuro, ma qualcosa delle sue parole l'aveva turbata: fino a quel momento non aveva mai parlato della possibilità di morire in un combattimento, mentre ora vi accennava con naturalezza, come se glielo stesse ricordando dopo averlo ripetuto parecchie volte.

Arturo la fissava con aria grave. «Non voglio nascondere la verità. Combattere per la propria vita, non è come farlo nei duelli di corte. Se sei disarmato di fronte a un soldato nemico, sei morto. Se sei distratto, sarai disarmato. Se ti fai prendere dalla paura, ti distrarrai.»

La nobile infisse la sua spada a terra. «Hai dovuto combattere per la tua vita?» gli chiese. Il suo tono calmo lasciava trapelare una viva curiosità, che aveva scalzato nel suo animo il turbamento di poco prima.

«Non ancora» rispose lui. «Ma se Raissa fosse sulle nostre tracce, potrebbe accadere presto.»

«Pensi davvero che lei possa scoprire dove siamo? Che cosa stiamo facendo?»

«Ti sembra che stiamo concludendo qualcosa? Claudio non fa altro che rileggere quel maledetto libro senza trovare niente!» esclamò Arturo, spazientito. Subito si pentì delle sue parole: non aveva intenzione di parlare in quel modo di quel ragazzo che, con il passare dei giorni, era diventato la persona più simile a un amico che avesse mai avuto.

«Secondo te stiamo solo perdendo tempo, allora?» gli chiese una voce inviperita alle sue spalle. Flora.

Il mercenario si voltò e la vide accorsa insieme a Claudio, che lo fissava con occhi sgranati. «Non ho detto questo» provò a difendersi, pacato. «Ma questa situazione di stallo mi innervosisce. In quel libro non troviamo niente e ora siamo in troppi perché io possa proteggervi da solo, se andiamo nell'Autunno.»

«Ci ho provato, ma proprio...» iniziò Claudio, che continuò a parlare, nonostante un cenno di Flora gli ordinasse di tacere. «No, io... non mi sento bene...»

Le ultime parole uscirono dalle sue labbra in un sussurro impercettibile, tanto che la Primavera e il mercenario continuavano a discutere.

«E se ci stessi trattenendo qui mentre aspettiamo che la tua Raissa torni nel Pecama?» accusò lei. «Perché continuo a fidarmi di te, anche se nessuno lo farebbe? Hai ragione, stiamo perdendo tempo! Dovremmo andare subito nell'Autunno!»

Selenia - Trono rovesciatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora